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Covid-19, economie in ripresa e catene di approvvigionamento spezzate. Sono gli ingredienti perfetti per una ricetta dal sapore internazionale, ma soprattutto occidentale: crisi dei semiconduttori. La domanda di semiconduttori, cresciuta dal 5-6% al 20%, fino a una carenza globale che ha creato difficoltà a molti settori, a partire da quello dell’automobile, e che potrebbe protrarsi fino almeno ai primi mesi dell’anno prossimo.

Nel suo intervento al Senato in vista del Consiglio europeo, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha dedicato ampio spazio a questa “sfida decisiva per l’Europa”, ricordando che il Vecchio continente è passato “dal 44% della capacità globale di semiconduttori nel 1990 ad appena il 9% nel 2021”. “Dipendiamo sempre di più dalle forniture extra-europee”, ha evidenziato il presidente. “Quando queste ritardano o si bloccano, come è accaduto in questi mesi di ripartenza economica, le aziende possono vedersi costrette a fermare o rallentare di molto la loro produzione”.

Che i microchip siano una questione di sicurezza, Draghi l’ha chiarito sin dalle prime settimane a Palazzo Chigi calando ad aprile il suo primo “golden power” per fermare l’acquisizione della lombarda Lpe di Baranzate da parte della cinese Shenzen Invenland Holdings.

Ma difendersi non è sufficiente. Ora serve agire. Tocca all’Unione europea. Draghi ha richiamato la volontà di produrre il 20% dei semiconduttori mondiali entro il 2030 come previsto nel piano 2030 Digital Compass presentato dalla Commissione a marzo.

“Dobbiamo intervenire subito e con decisione”, ha avvertito Draghi. “La Cina e gli Stati Uniti lo stanno già facendo, investendo decine di miliardi ciascuno in questo settore. L’Unione europea deve mettere insieme le capacità di ricerca, progettazione, sperimentazione e produzione di tutti i Paesi europei per creare, ad esempio, un ecosistema europeo di microchip all’avanguardia. Sosteniamo con convinzione la proposta della Commissione europea di adottare uno European Chips Act per coordinare investimenti e produzione europei di microchip e circuiti integrati. Dobbiamo inoltre agire con la massima urgenza per rafforzare la cooperazione tra pubblico e privato e attrarre investimenti alla frontiera tecnologica”, ha aggiunto.

Quanto può essere autonoma l’Unione europea sui microchip? Non troppo. Notavamo nei mesi scorsi su Formiche.net che gli Stati Uniti dominano il mercato globale in termini di profitti, ma non riescono a eguagliare la produzione asiatica: infatti, Taiwan, Singapore, Corea del Sud, Giappone sono su altre vette.

Ma al netto dei soldi, che ci sono (tra Recovery Fund e Digital Compass sono 140 miliardi di euro in tecnologia nei prossimi tre anni), il problema è la strategia europea. Basti pensare che, e lo notavamo su queste pagine già a giugno, “le speranze della Commissione sono ora appese al colosso a stelle e strisce Intel, pronto a valutare un maxi-investimento da 8 miliardi di euro per un impianto di produzione europeo. Ancora una volta, l’Europa è costretta a guardare dall’altra parte dell’Atlantico per tenere testa alla concorrenza cinese e delle altre potenze asiatiche”.

Le conclusioni del Consiglio commercio e tecnologia inaugurato a fine settembre a Pittsburgh, in Pennsylvania, dai vertici dell’amministrazione statunitense e della Commissione europea, hanno toccato anche il tema dei semiconduttori. Ma il nervosismo della Francia verso gli Stati Uniti per l’accordo di sicurezza Aukus ha portato ad annacquare gli impegni. Si parla, infatti, soltanto di collaborazione su questioni “a breve termine” della catena di approvvigionamento. Del resto si discuterà al secondo incontro, programmato, e forse non è un caso, in Francia nella prossima primavera.

Politico ha notato due problemi nell’asse transatlantico sui microchip.

Primo: le due sponde dell’Atlantico lavorano con ritmi diversi. Gli Stati Uniti hanno approvato un piano, il Chips for America Act, da 52 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni. Ancora non è chiaro, invece, l’ammontare dello European Chips Act, stimato tra i 20 e 50 miliardi (una forbice piuttosto ampia), su cui hanno già messo gli occhi colossi come l’americano Intel e il taiwanese Tsmc. Né sono chiari i tempi di questo neonato progetto.

Secondo: l’interesse nazionale. Quando si tratta di Cina, anch’essa impegnata per rafforzare la catena di approvvigionamento dei semiconduttori, Stati Uniti e Unione europea hanno impostazioni diverse, a volte in competizione. Per questo, “superare certi ostacoli non è cosa da sottovalutare”, scrive Politico.

L’asse Usa-Ue sui microchip ha due punti deboli

Anche il presidente Draghi ha recentemente sottolineato l’importanza dell’approvvigionamento dei semiconduttori per la sicurezza nazionale. Le due sponde dell’Atlantico cercano un allineamento, ma attenzione alle incognite tempo e Cina

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