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È una guerra globale quella dei semiconduttori, ma per ora senza vincitori. Con l’inizio della pandemia da Covid-19, molti paesi hanno capito l’importanza di avere una supply chain nazionale, specialmente per alcuni prodotti, come ad esempio i semiconduttori che costituiscono i componenti fondamentali per alcune industrie: i microchip.

Ciò che è successo con la pandemia può essere definito come “bullwhip effect”, cioè una distorsione della supply chain avvenuta quando le industrie hanno smesso di produrre perché molte aziende – bloccate dalla pandemia –avevano interrotto la richiesta di forniture. Però i consumatori hanno continuato a richiedere il prodotto, e questo “effetto frusta” ha portato a una carenza globale di semiconduttori, che potrebbe durare fino alla prima metà del 2022.

Per questo motivo, molti paesi stanno cercando di assicurarsi una supply chain nazionale, onde evitare di dover fermare interi settori di mercato. Gli Usa, ad esempio, hanno proposto di investire 39 miliardi di dollari in cinque anni per sostenere le aziende di microchip nel paese e altre industrie che investono in suolo statunitense. L’Ue invece vorrebbe stanziare 117 miliardi di dollari nell’arco di due o tre anni per la transizione digitale europea, che includerà anche la produzione di semiconduttori.

Al contrario degli Usa e dell’Ue, il Giappone ha promosso un fondo di soli circa 1,8 miliardi di dollari, ma ha recentemente presentato in parlamento un piano per attrarre le aziende straniere e favorire gli investimenti e una parte della classe politica vorrebbe incrementare le somme stanziate, arrivando a decine di miliardi. Si stratta di un vero cambio di paradigma, visto che nel Paese gli investimenti stranieri sono rari e regna un forte orgoglio nipponico nel settore tecnologico.

“Oggi, i semiconduttori sono importanti tanto quanto il cibo e l’energia”, ha detto un funzionario del Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese a Nikkei Asia. Tokyo importa più del 60% dei semiconduttori utilizzati nel paese dalla Cina e da Taiwan, ma la pandemia da Covid-19 ha dimostrato quanto sia sempre più importante avere un certo grado di autonomia, specialmente in un mercato critico per la sicurezza nazionale economica.

Entro la fine del mese, il Congresso giapponese dovrebbe approvare questa legge che faciliterà le aziende (estere e non) a investire in Giappone, godendo anche di una serie di benefit. Secondo il progetto, il Ministero cercherà di concludere accordi con le aziende estere per potenziali collaborazioni mentre altri investitori stranieri in possesso di tecnologie avanzate potranno lavorare con le imprese giapponesi sulla ricerca e lo sviluppo.

“Il governo [giapponese] vede i semiconduttori come essenziali per le innovazioni tecnologiche orientate alla decarbonizzazione. Questi semiconduttori saranno categorizzati come beni strategici globali per ricevere ulteriore sostegno” ha sottolineato uno studio di Nikkei Asia. I semiconduttori serviranno, quindi, anche a rafforzare il mercato dei veicoli elettrici, che di conseguenza espanderà quello delle batterie. “Le batterie saranno cruciali per il governo che vorrebbe raggiungere l’obiettivo di zero emissioni entro il 2050. Per farlo, serviranno batterie ad alte prestazioni e capacità per veicoli elettrici entro il 2030” ha continuato lo studio.

La proposta vuole, infatti, fare in modo che il Giappone detenga il 40% della quota globale dei semiconduttori di prossima generazione utilizzati nelle auto elettriche entro la fine del 2030.

Come ha affermato un Ufficiale giapponese a Nikkei Asia, “il Giappone non è la Silicon Valley, ma proprio per questo puntiamo su altre industrie.” Secondo la strategia dell’isola asiatica, oltre a promuovere l’industria dei semiconduttori, bisognerà fare di più anche per le società che utilizzano chip all’avanguardia, come le reti 5G, i veicoli automatizzati, la tecnologia smart-city e i robot medici.

La guerra dei microchip è iniziata, e il Giappone si schiera in prima linea

Il mondo è ancora a corto di semiconduttori, e alcuni studi credono che le aziende saranno colpite da questa insufficienza almeno fino alla prima metà del 2022. Per questo il Giappone farà di tutto per attrarre le imprese (anche straniere) ad investire nel Paese, fino ad arrivare al 40% della produzione di chip di nuova generazione per veicoli elettrici

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