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L’appello ha lasciato in vigore la sentenza del 2 febbraio, che rendeva esecutiva la pena, ma ne ha ridotto di un mese e mezzo la durata, sottraendone il periodo di arresti domiciliari scontato da Navalny nell’inverno del 2014. Teoricamente, il politico dovrebbe scontare 2 anni e 5 mesi di detenzione in una colonia, ma potrebbero esserci cambiamenti nel conteggio della pena, per le leggi russe che comparano un giorno in carcere a due in colonia.

Nel frattempo, in serata il blogger è stato condannato nel secondo processo della giornata a 850.000 rubli di multa, colpevole secondo il tribunale di aver calunniato Artemenko. Il caso del veterano è particolare, perché si tratta di un tweet di Navalny a proposito di un video in sostegno al referendum per le modifiche costituzionali del 1 luglio scorso, a cui aveva preso parte Artemenko.

A proposito del video, Navalny aveva scritto che la propaganda filo-governativa era ormai debole, tanto da affidarsi a “sicofanti venduti”. Secondo l’accusa queste parole sarebbero state rivolte proprio al veterano, che avrebbe addirittura riscontrato problemi di salute per lo stress causato dalle “attenzioni” dell’attivista.

A conclusione del processo per calunnia si è adombrata la possibilità di un ulteriore nuovo procedimento contro il blogger, questa volta per oltraggio alla corte, reato per il quale sono previsti fino a 200.000 rubli di multa e 6 mesi di reclusione, un altro tassello nella serie di procedimenti avviati contro Navalny.

Oltre alle considerazioni specifiche del caso, vi sono le peculiarità del sistema giudiziario russo, dove i processi si concludono solo nello 0,36% dei casi con delle assoluzioni (in Italia è il 20,7% per il primo grado di giudizio). Un dato che da solo spiega le difficoltà dello stato di diritto in Russia, e come vi sia una condizione di disparità tra l’accusa e la difesa, che colpisce soprattutto chi non ha mezzi.

Nel frattempo, le mobilitazioni di fine gennaio sembrano attraversare una fase di quiete difficile da interpretare. Dopo i fermi di massa del 23 e 31 gennaio, il team di Navalny aveva dichiarato di non voler convocare ulteriori manifestazioni fino alla primavera, salvo poi lanciare un flashmob su scala federale per il 14 febbraio, chiamato “l’amore è più forte della paura”.

La stessa natura del flashmob, basato sull’accensione delle torce degli smartphone, rende impossibile valutarne la partecipazione, e anche il significato politico di un’azione del genere è sicuramente meno visibile e forte delle manifestazioni delle settimane precedenti.

Ci sono però dei fattori nuovi, di un certo interesse, per comprendere in quale direzione vadano certe contraddizioni sviluppatesi negli scorsi anni. Uno dei possibili è la copertura da parte dei media ufficiali del caso Navalny, su cui prima vigeva una sorta di silenzio, volto a limitare probabilmente la diffusione delle notizie attorno alle sue attività: ora spesso è il blogger a essere al centro delle notizie, e anche se non se ne parla bene, questo aumenta l’attenzione verso la sua figura e le sue posizioni.

Vi sono anche allo stesso tempo tentativi di distogliere il focus dell’opinione pubblica dai processi contro Navalny, come dimostrato dal dibattito su quale monumento aprire alla Lubyanka. La consultazione prevista dalla Camera delle associazioni di Mosca, organismo consultivo, vede come alternativa al ritorno sulla piazza del fondatore della Ceka Feliks Dzerzhinskij un nuovo monumento ad Aleksandr Nevskij, il principe che sconfisse l’ordine di Livonia nella battaglia del lago Peipus nel 1242.

Entrambe le figure, nella narrazione postmoderna e postimperiale della Russia putiniana, dovrebbero rappresentare la difesa dello stato dal nemico, sia esso esterno o interno, una discussione che merita ulteriori approfondimenti. Di certo, queste trovate servono anche a riportare su binari diversi l’attenzione della società, per distoglierla da altre, ben più urgenti, questioni e, forse, per parlar di meno di Navalny.

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