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Che il potere logori chi ce l’ha, è risaputo. Ed è altrettanto, e anzi più vero del contrario, su cui Giulio Andreotti, per spirito di paradosso e ironia, poneva l’attenzione. Che mai il potere abbia logorato una forza politica con la velocità con cui lo ha fatto nel caso dei Cinque Stelle, è elemento che si desta a non poche riflessioni. E che esige, da parte dei leader, un ripensamento radicale di un partito che, passato dall’opposizione al governo, ha dovuto contraddire nella prassi fin troppi dei dogmi su cui la sua (anch’essa rapida) ascesa si era basata.

Tuttavia, alle “origini”, tranne qualche pasradan o nostalgico alla Alessandro di Battista, nessuno dei suoi dirigenti può o vuole tornare. È in quest’ottica che si è posto il problema della leadership politica, che Beppe Grillo, il vero capo del Movimento (quasi incontrastato ora che Gianroberto Casaleggio non c’è più e il figlio è in rotta di collisione), ha deciso di affidare a Giuseppe Conte. Se sia stata l’opzione migliore è da scoprire, visto che il futuro dei Cinque Stelle è davvero tutto da costruire.

Intanto, dopo i primi due anni di governo da forza di maggioranza relativa, quella che sembra essere del tutto naufragata è l’idea i una “trasversalità” ideologica e di schieramento: pur avendo scelto (in rapida successione) sia la strada dell’alleanza con la principale forza di destra sia quella con il partito storico della sinistra, nessuno mette più in discussione il fatto che il futuro del Movimento si giocherà nel secondo campo. A sinistra, la sua crisi ne incrocia però un’altra, quella del Pd appunto.

Che la sinistra storica sia in crisi ovunque in Europa è un dato di fatto, ma altrove essa fa il paio con il dinamismo di forze nuove ambientaliste ed ecologiste. Di qui, allora, la spiegazione anche della conversione “verde” impressa dal capo-garante, che in verità (pur essendo l’ambiente una delle “cinque stelle” originarie) non è mai stata fra le priorità dell’azione politica effettiva del Movimento.

E anche in questi giorni sembra stentare a farsi spazio, dando comunque l’impressione di un’identità per ora posticcia. Ma il “Conte verde”, come lo ha subito ribattezzato Il Fatto quotidiano, sarà all’altezza del compito che gli è stato affidato? È la persona giusta per portarlo a termine? Ripeto: è tutto da vedere, ma intanto si possono giudicare i primi passi.

In particolare, dal primo intervento pubblico, la conferenza in streaming a tarda ora (una sorta di “marchio di fabbrica”) con i dirigenti del partito, qualche dubbio è lecito avanzarlo. E esso mette il dito proprio in quella “piaga” che era stata la caratteristica del secondo governo da Conte presieduto.

In effetti, la radicalità, che in questi casi ci vorrebbe, contrasta con quella che sembra essere la cifra (molto “democristiana” nel senso buono del termine) del professore ormai diventato politico: l’irresolutezza, la mediazione ad oltranza, l’indecisione di fatto, il voler accontentare tutti e quindi il non esaltare nessuno. Un “Conte Temporaggiatore”, alla Fabio Massimo, come nel suo stile, per il momento.

Sui rapporti con Rousseau, sul secondo mandato, sulla forma organizzativa del partito, su tutti i punti caldi che andrebbero sciolti, Conte non ha ancora preso posizione. E la riunione online dell’altra sera ha generato per lo più malumori, dubbi e insoddisfazione. Tranne che in Goffredo Bettini, apertamente, e in altri dem forse in modo non palese. Che il Pd aspiri infatti ad essere maggioritario a sinistra nel medio-lungo termine non è un segreto, così come non lo è il fatto di voler fare di quel che resterà del Movimento una sorta di “seconda gamba” di un molto soft e innocuo “populismo” di sinistra (un po come quello delle Sardine).

E l’impressione è che qualcuno fra i pentastellati sia anche disposto ad accondiscendere pur di continuare a muoversi da protagonista in quei Palazzi in cui sembra trovarsi davvero a proprio agio (il riferimento al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ieri ha avuto un lungo e cordiale colloquio con Enrico Letta, non è casuale).

Poiché i Cinque Stelle sono in questo momento una sorta di microcosmo del Paese, diviso in tante fazioni o “bande” in guerra fra loro, la strategia adottata da Conte potrà anche dare qualche frutto nel non far perdere i pezzi, ma porta probabilmente (appunto) a un rapido logoramento. Con il rischio che, ancor più di quanto già oggi non sia, si faccia avanti nell’elettorato l’idea di trovarsi di fronte non a un partito, e nemmeno a un movimento di idee, ma a una nuova “Casta” divisa su tutto ma sempre pronta a riconciliarsi, e a tutto disposta, pur di conservare il potere e dividerselo. Il che, come è stato più volte detto, è una paradossale nemesi per un movimento che proprio sullo spirito anti-Casta aveva fondato la sua originaria identità.

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