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La conferenza stampa di Giuseppe Conte, apertasi con il consueto ritardo sugli orari annunciati tramite leak sui social, ha preso l’avvio con l’usuale narrazione dell’efficacia delle ultime misure intraprese: questa volta viene lodato il sistema delle zone a colore.

Occorre ricordarlo visto che, nel corso di questi mesi, il governo ha approvato misure di ogni tipo, dal lockdown totale al liberi tutti estivo, ricordandosi sempre di spiegare quanto e come le misure decise fossero adeguate e coerenti con la situazione.

Data questa premessa, il filo del discorso di Conte diventa inestricabile da seguire per coloro che apprezzano il principio di non contraddizione: le misure del governo funzionano, l’Italia ha ora un Rt pari a 0,86, quindi si chiudono bar, ristoranti e negozi durante la principale finestra di opportunità commerciale dell’anno, ovvero nei giorni dal 24 dicembre al 6 gennaio.

Per ovviare all’incongruenza logica, lo storytelling di Conte presenta fattori intervenienti quali lo scenario pandemico difficile in altri Stati europei (una sorta di richiamo al noto brocardo pre-giuridico “mal comune: mezzo gaudio”) e la preoccupazione del Comitato tecnico scientifico sulla possibile recrudescenza del virus durante le feste. Insomma, la responsabilità di scelte squisitamente politiche viene presentata, in termini comunicativi, alle circostanze pandemiche, alle valutazioni degli esperti, rimettendosi alla clemenza di chi, ascoltando, viene chiamato a valutare l’azione, tutto sommato altrettanto in stallo, degli altri governi europei.

Per la comunicazione di Conte, l’ampliamento del campo di responsabilità e il confronto con il sistema internazionale costituiscono un prodromo stabile per annunciare le misure decise, con il consueto piglio pedagogico che deriva al presidente del Consiglio dalla precedente carriera accademica.

Sgorga la litania di date, limitazioni, misure previste ed eccezioni consentite per le differenti tipologie di cittadini che hanno atteso di sapere l’esito delle proprie attività commerciali, imprenditoriali e delle proprie vicende familiari per la prossima settimana fino alle 21.51 di venerdì 18 dicembre. Un modello di comunicazione-specificazione più adatto a convegni accademici o momenti formativi dell’ordine degli avvocati che alla natura di una comunicazione istituzionale della presidenza del Consiglio, in un momento così drammatico della vita pubblica italiana.

Deve esserne consapevole l’intero gruppo dedicato alla comunicazione di Conte che, per dare un colpo d’ala alla ormai consueta narrazione top-down di misure e interventi in orario serale, prospetta le due prospettive di ristori al 100% per le attività chiuse (con misure aggiuntive per 645 milioni di euro) e vaccine day il 27 dicembre. Due elementi che non arrivano a rappresentare il plot twist per comunicazioni così lungamente attese e così puntualmente già fornite alla stampa (per far abituare l’audience all’idea delle decisioni già prese e contenere il dissenso alla sola fase di lettura degli organi di informazione). La proposta di tenere il vaccine day come negli altri Stati europei in una giornata annunciata come da zona rossa nazionale non aiuta la certezza della narrazione; sicuramente per queste implicite contraddizioni del processo decisionale giungeranno in soluzione le Faq o le voci suppletive delle autocertificazioni (“dichiara di uscire per motivi di vaccine day” deve essere una delle ipotesi allo studio dell’ufficio legislativo del ministero dell’Interno).

Quello che appare con una certa evidenza nella comunicazione di Conte è un approccio infiacchito, non solo alle decisioni, ma anche al modo di presentare scelte, temi e argomenti a supporto delle misure decretate. Tra il sensazionalismo della vicenda del rilascio dei pescatori italiani in Libia e l’ormai new normal delle conferenze stampa in ritardo e con un approccio spesso antagonistico con la stampa, la macchina comunicativa di Conte – che pure aveva manifestato discrete prove durante la pandemia e il lockdown – appare scarica e poco sintonizzata sul comune sentire del Paese. L’avvocato del popolo manifestava un certo grado di empatia con il soggetto che era chiamato a difendere nella prima fase; poi si è smarrito nella puntualizzazione sui congiunti e nella specificazione di cosa fosse consentito e non consentito, in una comunicazione asimmetrica e direttiva. È davvero difficile procedere perdendo il polso della situazione del cliente, proprio nel momento in cui difeso e difensore devono essere reciprocamente più sinceri e uniti tra loro, per vincere insieme.

In questa circostanza, il rischio politico concreto per il presidente del Consiglio è che il popolo, deluso dalla natura della difesa legale prestata, decida di affidare la propria tutela legale ad un altro avvocato.

Vi spiego la retorica incagliata dell’avvocato del popolo. Scrive Antonucci

Quello che appare con una certa evidenza nella comunicazione di Conte è un approccio infiacchito, non solo alle decisioni, ma anche al modo di presentare scelte, temi e argomenti a supporto delle misure decretate. Il rischio politico concreto per il presidente del Consiglio è che il popolo, deluso dalla natura della difesa legale prestata, decida di affidare la propria tutela legale ad un altro avvocato

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