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Il “piatto forte” del Consiglio dei Capi di Stato e di governo dell’Unione europea (Ue) di domani 25 marzo e dopodomani 26 marzo è il programma vaccinale nell’Ue. È indietro, e di molto, rispetto a quelli del Regno Unito, degli Stati Uniti e del Canada, per non parlare di Israele e dei Paesi del Bacino del Pacifico (segnatamente, Australia e Nuova Zelanda). I ritardi e le insoddisfazioni fanno aumentare, tra i cittadini dell’Ue, due grandi categorie: gli “euroscettici” e gli “europerplessi”.

Sono due vaste categorie differenti tra di loro. Nella prima ci sono sia coloro che sono contrari al principio stesso di integrazione europea, come erano un tempo non pochi dei militanti del Movimento Cinque Stelle (M5S) sia coloro che, pur europeisti, vorrebbero una “differente Europa”, simile all’”Europe des Patries”, preconizzata da Charles de Gaulle, su linee, in Italia, simili a quelle di Fratelli d’Italia e della Lega. Gli “europerplessi”, invece, sono coloro, in forte aumento da mesi, che si domandano come mai la Commissione europea si è presa un compito difficile in una materia (la contrattazione con grandi aziende farmaceutiche la cui sede sociale è in gran misura al di fuori del perimetro Ue) di cui era ed è priva di esperienza. C’è da augurarsi che i 27 trovino una strada unita (al di là delle specifiche esigenze di ciascuno Stato) per assicurare una provvista adeguata di vaccini a medio e lungo termine. Tanto più che si paventa una terza o quarta ondata della pandemia in autunno. Anche perché non pochi “europerplessi” stanno pensando di andare ad aumentare le file degli “euroscettici”.

Cosa turba gli “europerplessi”? In primo luogo, si interrogano perché si è rallentato il decollo del programma in attesa che un’azienda francese (la Sanofi) avesse chiari i tempi dello sviluppo di un proprio vaccino e perché si è privilegiato un vaccino in parte tedesco (lo Pfizer), limitando gli acquisti delle altre tipologie di vaccini, sulla base di ragioni geopolitiche (Sputnik V°) o di interessi nazionalistici (il blocco immotivato ad AstraZeneca). In secondo luogo, perché vaccini testati su milioni di americani – quindi approvati dalla Food and Drug Administration (Fda) – o britannici – approvati quindi dalla Medicines and Healthcare Products Regulatory Authority (Mhra) – devono essere riesaminati dalla Ema e dall’Aifa con conseguente perdita di tempo in un campo in cui la tempestività vuole dire perdere o salvare vite umane.

Ci sono, poi, programmi di coordinamento europeo, per quando, superata la pandemia, la virosi diventerà endemica, richiedendo una vaccinazione annuale, come quella contro la normale influenza. Sarebbe utile impostarli sin da adesso perché allora il prezzo del vaccino sarà allora liberalizzato, passando dai costi attuali (negli Usa, 19,5 dollari/dose, per il Pfizer e circa 20 per il Moderna, contro AstraZeneca a 2 dollari e Moderna a 4 dollari). Se gli Stati dell’Ue si coordinano efficacemente, acquisti in gruppo potrebbero essere utili a calmierare i prezzi per gli utenti finali. Si potrà allora scegliere quale vaccino farsi somministrare o iniziata la propria vaccinazione con un farmaco (Pfizer, Moderna, AstraZeneca) si dovrà continuare con il medesimo anche se altri vengono sul mercato (Johnson & Johnson, Sputnik, Sanofi, ecc.)? È necessaria – come pare sostenga la Pfizer – una terza inoculazione per difendersi dalle varianti?

Questi interrogativi si aggiungono a quelli che numerosissimi italiani si pongono su quanto dura la protezione vaccinale, con le differenti tipologie di farmaco, se la durata della protezione differisce a seconda della fascia di età e della presenza di altre patologie, sulle differenti modalità adottate dalle Regioni anche per determinare le priorità delle categorie di persone da vaccinare. In materia, sarebbe utile una linea molto chiara dello Stato, auspicabilmente condivisa a livello europeo.

Euroscettici, europerplessi e i programmi vaccinali europei

Molti gli interrogativi sul piano vaccinale sia in Italia sia in Europa. Per evitare l’aumento delle file degli scettici, sarebbe utile una linea molto chiara dello Stato, auspicabilmente condivisa a livello europeo. Il commento di Giuseppe Pennisi

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