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Entrano in vigore quest’oggi le nuove norme del Dpcm di contrasto al Covid, che divide l’Italia in tre zone in più o meno severe forme di lockdown. Il provvedimento ha esacerbato le polemiche già in corso ma se non è facile prendere decisioni senza scontentare nessuno, al contempo sarebbe di grande importanza restare uniti in un momento di così grande difficoltà. Lo pensa Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, da sempre in prima linea nella battaglia contro il Covid. “Usciamo da questo schema da guelfi e ghibellini e portiamo il nostro esercito alla vittoria”, sottolinea Vaia in una conversazione con Formiche.net, che aggiunge: “Se le misure saranno efficaci, e non giuste o sbagliate, ma efficaci, potremo scoprirlo fra quindici o venti giorni”.

Oggi entra in vigore il nuovo Dpcm. Quali misure ritiene efficaci per il rallentamento della curva epidemica e quali meno?

Intanto partiamo col dire che è sempre difficile prendere decisioni quando bisogna tenere insieme due esigenze parimenti incomprimibili ma non conciliabili. Tutelare la salute delle persone senza deprimere il sistema-Paese, da un punto di vista in primis economico ma anche sociale e culturale, non è semplice. Detto questo, le nuove misure possono essere definite in un certo senso da lockdown chirurgico, che forse in questa fase sono le misure necessarie.

Quindi sono giuste?

Il tema non è tanto se sono giuste o meno. Il tema è che sono misure provvisorie e potranno dare risultati solo se le persone le rispetteranno, continuando ad applicare con rigore le tre regole auree del distanziamento, della mascherina e del lavaggio delle mani. Se le misure saranno efficaci, e non giuste o sbagliate, ma efficaci, potremo scoprirlo fra quindici o venti giorni.

Attendiamo, dunque?

Di certo criticarle a priori è un esercizio sbagliato.

Due giorni fa parlava del ruolo cruciale della coesione nazionale. Eppure dopo il nuovo Dpcm, lo scontro tra Regioni, stato centrale e all’interno dello stesso governo si è esacerbato. Che rischi ci sono?

Guai a quell’esercito che si presenta in campo con il subdolo virus della disunione. Un esercito che si presenta con una schiera di generali uno contro l’altro è destinato alla sconfitta. E i nostri generali, rappresentati dalla comunità scientifica e dalla classe politica, purtroppo lo sono. Il primo passo per vincere è restare uniti, riscoprendo e recuperando anche quello spirito del lockdown fatto da un afflato quasi fraterno e voglia di combattere e di farcela.

Una voglia che non c’è più?

Io non la vedo. Intorno al Covid si sono combattute tante battaglie, personali, politiche ed economiche. Ho visto gente criticare azioni perché compiute da un certo colore politico e glorificare le stesse azioni il giorno successivo perché proposte da un’altra forza partitica. Usciamo da questo schema da guelfi e ghibellini e portiamo il nostro esercito alla vittoria.

Sono mesi che si parla delle lacune del sistema sanitario. Nel dettaglio, dove sono mancati i fondi? Quali aree del Ssn sono carenti a causa delle risorse insufficienti?

Non sono mesi, sono anni ormai che noi indichiamo azioni necessarie per un sistema che sia efficiente. E non parlo solo del potenziamento del personale sanitario ma anche del supporto a quello che già c’è. Non possiamo lasciare nudi gli operatori sanitari, sia da un punto di vista economico che di dotazioni. Soprattutto i medici del territorio, che rappresentano la chiave di volta in questa battaglia.

I medici di famiglia, insomma?

Certo. Dobbiamo potenziare sempre di più il territorio, rendendo centrale l’integrazione ospedale-territorio e facendo in modo che le persone possano essere diagnosticate e curate a casa. Bisogna dare ai medici di famiglia e ai pediatri strumenti adeguati. Sia in termini di diagnostica, quindi dando loro la possibilità di effettuare tamponi o di utilizzare device come i saturimetri, gli elettrocardiografi o gli ecografi polmonari, che consentono ad esempio di verificare se un cittadino ha una polmonite senza doverlo mandare in ospedale. Sia in termini di ausili terapeutici, cercando di implementare la domicliarità delle terapie innovative, come ad esempio gli anticorpi monoclonali. Il territorio è strategico, ripeto, rispetto alla vittoria finale.

Si è parlato moltissimo di terapie intensive. Sono davvero insufficienti, o alla luce dell’imprevedibilità della pandemia sono quante dovrebbero essere in un Paese di 60 milioni di abitanti?

Sulle terapie intensive, a mio giudizio, si sta un po’ sagrando. Stiamo messi abbastanza bene rispetto alla media europea. Anche la narrazione che viene costruita attorno alle terapie intensive è abbastanza sbagliata, raccontate come la fase terminale della malattia che porta inevitabilmente alla morte.

E cosa sono invece?

Momenti di terapia, intensiva, ma pur sempre di terapia. È un atto terapeutico, non l’anticamera della fine. E poi tanti ospedali italiani, a partire dallo Spallazani, hanno di gran lunga aumentato i posti letto, sia in ricovero ordinario, sia in terapia intensiva.

La scelta più sbagliata fatto dall’inizio della pandemia?

Forse si doveva intervenire di più a monte sui luoghi della socialità. D’estate abbiamo fatto campagne importanti in tal senso, come quella del biglietto tampone, ma probabilmente potevamo fare di più. Anche e soprattutto nell’ampliamento della rete di trasporti o nella gestione delle scuole. Ma sono tutte cose che possiamo ancora fare. Non è mai troppo tardi per intervenire sui nodi strutturali, come stanno già facendo molte regioni.

Una domanda tecnica: se due soggetti indossano la mascherina, il rischio di trasmissione è minimo o è nullo?

Quasi impossibile.

Falsi miti sulla pandemia…

Falsi miti sul Covid ne abbiamo a bizzeffe. Di persone che l’hanno sparata grossa pur finire sulle prime pagine dei giornali ne abbiamo a bizzeffe.

Ne sfatiamo qualcuno?

Che il virus scompare con il caldo, per esempio. Basti vedere tutti i Paesi caldi duramente colpiti dall’epidemia. O, ancora, che colpisce solo gli anziani. Il virus colpisce tutte le fasce di età, quelle anziani con più violenza, ma non colpisce solo gli anziani.

Che però vanno preservati…

Sì, e guai a pensare di non farlo. Così come a pensare di chiuderli in casa. Gli anziani sono uno dei beni più preziosi che abbiamo, vanno amati e coccolati. E mai trattati come un problema.

E i giovani?

Anche loro lo sono. Hanno davanti un futuro già di per sé abbastanza incerto, non lo rendiamo ancora di più. Non chiudiamoli in casa, non li priviamo della scuola, non li priviamo del tempo libero, se non per un tempo strettamente limitato. Ma usciamo, per favore, da questa dicotomia giovani/anziani, da queste bipartizioni che non fanno bene a nessuno. Abbiamo tutti gli strumenti in mano per far fronte a questa battaglia in attesa del vaccino, come ad esempio gli anticorpi monoclonali. Io sono certo che ce la faremo. Ma solo se uniti.

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