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È stato il primo passo mosso nello Studio Ovale. Joe Biden l’aveva promesso e così ha fatto: con un ordine esecutivo, il giorno della sua inaugurazione da presidente, gli Stati Uniti sono rientrati negli Accordi di Parigi sul Clima. E adesso? “Recupereremo il tempo perso, con gli interessi”, dice a Formiche.net Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente che ha vissuto da protagonista la firma della storica intesa cinque anni fa. “Sono grandi aziende americane ed europee le prime a voler rispettare quel patto”.

Galletti, basta un decreto per tornare indietro di cinque anni?

Non c’è bisogno di andare indietro perché gli accordi sono andati avanti. I meccanismi definiti nel 2015 sono stati perfezionati, e ci sono stati miglioramenti sensibili da parte dei firmatari. Penso alla Cina che ha tenuto fede al suo Ndc (National determined contribution, ndr), ma anche all’Europa, che è passata da un obiettivo per la riduzione del CO2 dal 40% al 55% entro il 2030. Le dirò di più.

Prego.

L’accordo può diventare più virtuoso di quello concluso all’epoca. Io, personalmente, non mi sono mai preoccupato della posizione dell’amministrazione Trump. Le prime a credere in quell’intesa sono state le grandi aziende americane. L’ambiente è un grande fattore di competitività, la capitalizzazione monstre di Tesla lo dimostra.

Quanto pesa il fattore Biden?

Molto. Avremo di nuovo gli Stati Uniti lungo tutto il processo negoziale, finalmente si torna a un approccio multilaterale che, lo dimostrano gli accordi fatti sotto il cappello dell’Onu, è il più efficace.

Da dove si riparte?

Da un cambio di paradigma. Bisogna uscire da una prospettiva prettamente “etica” degli investimenti green. L’imprenditore, come è giusto, ragiona in termini di redditività e sa che con gli investimenti ambientali è più facile incrociare finanziamenti regionali, statali ed europei.

L’Europa a che punto sta?

Più avanti degli Stati Uniti, l’Italia ne è la prova. Abbiamo raggiunto livelli di produzione rinnovabile molto elevati. La normativa Ue è all’avanguardia, premia la produzione di energie rinnovabili. Certo, c’è molto lavoro da fare. Penso alla burocrazia e all’effetto nimby, alle resistenze locali che rallentano il processo. È il caso delle pale eoliche. Non possiamo dire che l’energia rinnovabile è il futuro e poi farci spaventare dai parchi eolici.

Nel Recovery plan italiano, oltre alle buone intenzioni, ci sono fondi sufficienti?

Ho qualche dubbio non tanto sull’entità dei finanziamenti ma sulla poca chiarezza degli interventi e su quello che bisogna fare per renderli operativi. In quattro anni al ministero non ho mai avuto problemi di reperimento delle risorse. Il problema era capire come spenderle, e a giudicare dal piano per la ripresa mi sembra sia rimasto.

Il 2021 è l’anno della presidenza italiana del Cop26. Quali sono le tre priorità per Roma?

Puntare molto sulla finanza verde, coinvolgendo di più il mondo finanziario. Mettere al centro le energie rinnovabili. Chiarire una volta per tutte, di fronte alla comunità internazionale, cosa significa economia circolare.

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