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“A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina”, diceva Giulio Andreotti che certo le cose della politica le conosceva e le capiva benissimo. Ed è proprio a questa frase che deve aver pensato Virginia Raggi non appena letta la notizia del vertice di ieri mattina a Palazzo Chigi per iniziare a parlare del Giubileo del 2025. Nulla di strano – si tratta di un appuntamento ovviamente fondamentale per Roma e l’Italia, oltreché per la Chiesa si intende, da cominciare a organizzare con largo anticipo – se non fosse che all’incontro brillasse un’assenza in particolare. Appunto, quella di Raggi, che sembra abbia appreso del colloquio – cui hanno partecipato il premier Giuseppe Conte, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione monsignor Rino Fisichella – solo successivamente, dalle colonne del Foglio, che per primo, con Simone Canettieri, ha rilanciato la notizia.

Il sindaco, com’era immaginabile, non l’ha presa affatto bene: “Stupisce che Palazzo Chigi non abbia ancora smentito le indiscrezioni dei media in merito ad una riunione istituzionale, presso la sede del governo, per l’organizzazione del Giubileo del 2025 a Roma. Se fosse così sarebbe un grave sgarbo istituzionale”. Una nota al vetriolo cui è seguita in serata l’ammissione dell’esecutivo che ha confermato l’incontro e poi aperto alla collaborazione, evidentemente inevitabile trattandosi di un Giubileo, con il Campidoglio: “Il Presidente Conte ha comunicato la piena disponibilità della presidenza del Consiglio ad avviare quanto prima il percorso di formazione della Commissione paritetica italo vaticana con il coinvolgimento del sindaco di Roma e delle altre autorità interessate”.

Caso chiuso? Formalmente è probabile di sì, politicamente però la questione rimane. D’altronde è dalla scorsa estate che Raggi sta cercando di prendere le contromisure all’ipotesi, certamente non ancora tramontata, di un possibile accordo a Roma tra il Pd e il Movimento 5 Stelle che potrebbe concretizzarsi solo nel caso di un passo indietro o di lato da parte dello stesso sindaco. La prima cittadina della Capitale, al momento però, non appare minimamente intenzionata ad assumere una decisione del genere e, non a caso, già ad agosto – praticamente con 10 mesi di anticipo – ha annunciato la sua ricandidatura per il Campidoglio.

Una mossa che sembra aver in parte rovinato i piani di chi già pregustava la riproposizione in versione romana dell’alleanza giallorossa di governo. Il progetto tuttavia rimane in piedi come hanno ribadito in molti in casa dem – dal vicesegretario Andrea Orlando al vicepresidente della Regione Lazio Daniele Leodori (qui l’intervista a Formiche.net) fino alla capogruppo alla Pisana Michela Di Biase – e pure tra i cinquestelle. A partire da Luigi Di Maio che in due diverse occasioni nell’ultimo mese ha sottolineato la necessità almeno di provare a riproporre pure nella città eterna l’accordo tra dem e pentastellati. In questo contesto è chiaro che l’incontro tra Zingaretti e Conte per parlare di Roma in sua assenza possa apparire e apparirle come il segnale che quel progetto di alleanza, da siglare però necessariamente su un nome diverso dal suo, stia comunque procedendo e a vari livelli.

Ed è probabile che lo stesso ragionamento possa averlo fatto pure Carlo Calenda, oggi l’unico candidato ufficialmente in campo per sfidare Raggi. “Non invitare il sindaco di Roma a una riunione sul Giubileo è sbagliato. Chiunque sia il sindaco”, ha commentato ieri su Twitter il leader di Azione che, ironia della sorte, si trova in questo caso esattamente dalla stessa parte della prima cittadina di cui pure è stato ed è uno dei più tenaci oppositori. D’altro canto in questa fase Calenda non può che sperare che Raggi vada in fondo ai suoi propositi di ricandidatura nella città eterna così da trovarsela poi come avversaria nelle urne. Il perché è presto detto: con l’attuale sindaco in campo tramonterebbe definitivamente – salvo una corsa da civica difficile da immaginare, al momento – la possibilità di un’intesa tra i cinquestelle e il Pd che a quel punto potrebbe dover convergere, volente o nolente, sul nome dell’ex ministro dello Sviluppo economico, anche per la mancanza di un nome alternativo di peso uguale o superiore. Nell’altra ipotesi, quella di un accordo giallorosso, la strada di Calenda si farebbe inevitabilmente molto più stretta e difficile da percorrere. Ma è ancora presto. Le vie del Giubileo – e del Campidoglio – sono infinite.

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