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Il Recovery Fund prima di tutto, ma anche il ruolo dello Stato in economia, l’ipertrofia normativa e i tempi siderali che occorrono nel nostro Paese per trasformare le risorse prima in cantieri e poi in opere fatte e finite. I costruttori dell’Ance oggi hanno tenuto la loro assemblea annuale, rigorosamente in modalità telematica in virtù dell’acutizzarsi dell’emergenza sanitaria e delle disposizioni contenute nell’ultimo Dpcm del governo.

All’esecutivo – che ha partecipato all’iniziativa con i ministri dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Pubblica amministrazione, Stefano PatuanelliPaola De Micheli e Fabiana Dadone – il presidente degli imprenditori edili italiani, Gabriele Buia, ha inviato una serie di messaggi difficilmente equivocabili. Il primo e più importante ha a che vedere con il Next Generation Eu, il piano da 209 miliardi di euro che l’Italia dovrebbe ricevere dall’Europa per affrontare la crisi generata dalla pandemia: “Quei soldi devono servire a costruire una prospettiva futura, un’opportunità per questa e per le prossime generazioni”. E quindi, secondo l’Ance, infrastrutture, rigenerazione urbana e cura del territorio in chiave sostenibile. In questo senso la preoccupazione dei costruttori, come più in generale della classe imprenditoriale italiana, è che l’Italia non si faccia trovare pronta a questo appuntamento e che, in definitiva, al momento dell’arrivo dei fondi non si dimostri capace di spendere o di spendere bene queste risorse: “Oggi impieghiamo più di 5 anni per aprire un cantiere di un’opera da 5 milioni e circa 3 anni per un’opera da 200.000.
Con questi tempi, come pensiamo di cominciare a utilizzare il 70% delle risorse entro 2 anni (e il 100% entro 3 anni) come ci chiede l’Europa per il Recovery fund?”.

A tal proposito basta fare pochi esempi per rendersi conto di quali siano le priorità del nostro Paese. Il più evidente, forse, è rappresentato proprio dal Piano Nazionale di Riprese e Resilienza che l’Italia dovrà inviare a Bruxelles. Delle 17 grandi opere infrastrutturali ipotizzate finora, per un valore di 22,8 miliardi di euro, ben 12 erano già indicate dalle Legge Obiettivo varata all’inizio del secondo governo guidato da Silvio Berlusconi. Questo vuol dire che si tratta di interventi in programmazione da quasi 20 anni. O, ancora, si pensi ai quasi 6 miliardi di euro stanziati nell’ormai lontano 2010 per far fronte al dissesto idrogeologico: solo un miliardo e mezzo è stato effettivamente speso finora – ha denunciato l’Ance – pari al 26,3% del totale.

Il presidente di Ance ha anche puntato il dito contro l’ipertrofia normativa lamentata più volte dal mondo imprenditoriale: troppi provvedimenti e, soprattutto, troppi decreti attuativi ancora mancanti con la conseguenza di rendere quasi monche le riforme nel frattempo approvate. Buia, nel suo intervento, ha fatto i conti: “Tra il Conte I e II ci sono 544 provvedimenti attuativi ancora in sospeso ai quali se ne devono aggiungere altri 341 dei governi precedenti”. Errore in cui, ad avviso di Fabiana Dadone, siamo incorsi anche in tema di pubblica amministrazione. Tante, troppe, tentate riforme che però quasi mai hanno prodotto i risultati sperati: ”Non sempre hanno funzionato perché non si è investito nel capitale umano. Si sono fatte tantissime norme ma non si è seguito l’accompagnamento negli anni. Meglio evitare grandi riforme roboanti’.

Quadro d’insieme nel quale si inseriscono altre due questioni: una di merito, potremmo dire, e una più generale, quasi di contesto. La prima è costituita dal cosiddetto Superbonus fiscale del 110%, secondo i costruttori “l’unico strumento di rilancio dell’economia messo in campo finora, in grado di produrre investimenti per 6 miliardi di euro, con un effetto complessivo di 21 miliardi sull’economia”. L’Ance ha chiesto con forza che venga prorogato per altri due anni e ha trovato l’ok del governo. “Non c’è nella legge di bilancio perché la legge parla del 2021 e nel 2021 il superbonus è già esistente”, ha commentato Stefano Patuanelli che ha garantito l’impegno dell’esecutivo a varare comunque a una proroga, grazie a i fondi in arrivo dall’Europa. “Stiamo lavorando per trovare le risorse”, gli ha fatto eco Paola De Micheli.

Posizioni molto diverse, invece, in merito al ruolo che lo Stato sta giocando in economia su sempre più numerosi dossier.  “C’è il rischio di una nuova Iri, con effetti chiaramente distorsivi sulla concorrenza e sull’offerta”, ha sottolineato da questo punto di vista Buia, al quale ha risposto il ministro dello Sviluppo economico. Ad avviso di Patuanelli, gli interventi in pratica sono stati necessari: “Ritengo che sia un valore che nella cinghia di trasmissione ci sia anche lo Stato che verifichi che i meccanismi siano sani”. Questa sì, com’era in fondo facile attendersi alla luce delle ripetute posizioni assunte dal mondo imprenditoriale, una distanza difficile da colmare.

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