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La Cina, nella sua plurimillenaria storia, non ha mai conosciuto qualcosa di equiparabile alla democrazia occidentale. Ovviamente, potrebbe essere solo un caso, essendo in genere questa forma di governo dopo tutto rara anche dalle nostre parti, considerando le cose da un punto di vista storico. Ma molto più probabilmente la circostanza è legata a qualcosa di più sostanziale, alla cultura e alle strutture stesse del pensiero cinese. Se questa intuizione, che voglio qui sviluppare, avesse senso, essa, da una parte, complicherebbe il quadro interpretativo e comparativo presente in molti pensatori occidentali; dall’altra, renderebbe ancora più inafferrabile e insidiosa quella che molti di noi oggi non esitano a considerare la “minaccia cinese”.

(…) Fatto sta che né Weber, né Wittfogel, avrebbero potuto immaginare l’evoluzione del comunismo cinese in direzione capitalista e industrialista. Come è potuto accadere è la domanda ulteriore che, in aggiunta alla loro, ci poniamo noi. La data di inizio di questo processo può essere assunta simbolicamente nel 1981, quando cioè nel Partito Comunista, e quindi nell’intero Paese, prende il potere Deng Xiao Ping. Agricola, arretrata, prostrata dagli anni del “grande balzo in avanti” e della carestia, la Cina trova nel nuovo leader colui che intuisce che, per far sopravvivere il regime comunista, bisogna aprirlo in qualche modo al mercato e al capitalismo, e quindi al mondo.  Nasce così il disegno di un “socialismo con carattere cinese”, che sarà portato alle estreme conseguenze e rinnovato dall’ultimo leader cinese Xi Jiping, che ha preso il potere nel 2012.

Contagio-Rosso_COVER-600x912La politica che ha fatto della Cina la potenza mondiale in diretta concorrenza con gli Stati Uniti si è basata essenzialmente sulle “quattro modernizzazioni”, cioè le quattro aree di intervento individuate da Deng: agricoltura, industria, scienza e tecnologia, sicurezza e difesa militare. Una crescente e controllata apertura agli investimenti esteri e alle esportazioni, unita a un soft power caratterizzato da abilità diplomatica e “volto gentile” ha fatto il resto (si pensi solo all’adesione all’ideologia ambientalista propria delle élite occidentali e invisa a Donald Trump).

Si può dire che lo scambio proposto ai cittadini, il patto sociale implicito e che ha reso stabile il regime in tutti questi anni, è stato suppergiù questo: “Lo Stato-Partito ti garantisce una buona dose di libertà economica, e comunque di benessere, e anche sicurezza fisica, ma tu gli cedi una parte non indifferente delle tue libertà e dei tuoi diritti”. E ancora: “Stai tranquillo perché lo Stato, e prima di tutto il suo leader, ti indirizza. Tu devi seguirlo perché egli agisce per il tuo bene”. Una sorta di neopaternalismo, coadiuvato da quello che può essere definito un neoconfucianesimo.

La Cina ha partecipato da protagonista al processo di globalizzazione, facendo ingresso sin dal 2001 nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che è stato un po’ l’architrave attorno a cui negli ultimi decenni si è messo alla prova il progetto di governo mondiale. Il Paese asiatico è stato il più favorito dal nuovo ordine mondiale, tanto che si può dire che l’età della globalizzazione ha coinciso, quasi a sovrapporsi, con l’ingresso della Cina sulla scena del mondo: la globalizzazione è la Cina!

Il Patto ha funzionato oltre ogni aspettativa, perché mentre il Paese diventava un enorme mercato per gli occidentali, anche e soprattutto del lavoro (la manodopera a basso prezzo favoriva la delocalizzazione delle nostre imprese), il benessere della popolazione aumentava in maniera proporzionalmente elevata.

In sostanza, l’idea qui proposta è che il combinato disposto di un neoconfucianesimo o neopaternalismo mostratosi particolarmente confacente al sistema politico-economico messo in piedi negli ultimi anni e di una logica “opportunistica” ha segnato l’azione della Cina nel mondo negli ultimi anni. Per così dire, Confucio ha dato sostanza all’ideologia cinese, mentre Sun Tzu ha dato il metodo.

La “logica della propensione” spiega forse ulteriormente il soft power che ha portato il Paese asiatico a vincere la guerra commerciale della globalizzazione quasi senza che noi ce ne accorgessimo. Sarebbe però per noi deleterio se essi un domani vincessero anche quella geopolitica e ideale, visto che il loro ideale è basato, secondo gli insegnamenti di Confucio, sull’armonia comunitaria e non sulla libertà individuale o sui “diritti umani”.

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