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Come sarà e soprattutto su quali forze potrà contare il sistema universitario statale, una volta finita l’epidemia? Ma, soprattutto, che ruolo ha avuto nell’ambito della contingenza sanitaria da Covid-19 il mondo universitario? A questi due quesiti, sicuramente non facili, ha cercato di rispondere Aurelio Tommasetti, ex rettore dell’Università di Salerno e ordinario di Economia aziendale, tra gli esponenti in assoluto meno conformi nel panorama accademico italiano. Il primo pericolo che l’ex magnifico individua nell’attuale gestione degli insegnamenti universitari, è rappresentato dall’aver trasferito tutti i contenuti, le lezioni e gli esami in streaming.

“Vedo una situazione addormentata dell’università. Le video lezioni si fanno dal divano di casa, così come gli studenti le possono seguire comodamente nel loro salotto” il rischio è che “passi un messaggio assolutamente deleterio: ovvero che le lezioni in streaming e sul web abbiamo lo stesso valore di quelle in presenza”.

L’emergenza Covid-19 quindi ha portato, a detta di Tommasetti “un progressivo svilimento della didattica che, in questo modo, diventa quasi superflua. Un danno dunque che si arreca anche alle famiglie degli studenti che, vedendo come si sta adeguando il sistema universitario alla contingenza sanitaria, possono convincersi a non mandarli più a studiare ‘fuorisede’ o decidersi ad abbandonare l’università in presenza e fare tutto in via telematica”. Tommasetti non ci sta.

A suo avviso occorre “sfruttare questo momento per sviluppare l’utilizzo di nuove tecnologie che però non devono sostituire, bensì eventualmente affiancare la didattica in presenza”. Anche sotto il profilo più specificatamente logistico, la didattica online, anche in questo frangente, “ha denunciato non pochi problemi. Un esempio? La certificazione delle competenze acquisite nell’ambito della verifica online degli studenti”.

Certamente “da parte dei docenti e di tanti rettori – aggiunge Tommasetti – c’è stata una grande buona volontà per evitare che gli iscritti agli atenei perdessero l’anno. Però è mancata una regia e non c’è stata, anche dal punto di vista didattico, un’unità di intenti”. E qui si arriva alla parte delle responsabilità.

“Il ministro Manfredi (Gaetano, ministro dell’Università, ndr) avrebbe dovuto garantire una regia che permettesse al mondo universitario di superare questo impasse in maniera più virtuosa”. Specie perché “si è tanto parlato delle scuole superiori e più in generale di ogni ordine e grado, con focus specifici sulle maturità, ma di università si è parlato ben poco”. Ed è anche per questo che Tommasetti chiede con forza che gli atenei pubblici “riaprano a ottobre e non a gennaio come paventato”.

Anche per evitare che “prenda il sopravvento l’istituzione privata a discapito di quella pubblica che, comunque, rimane l’unica garanzia di ascensione sociale”. C’è di più. Al di la di una visione relativa all’aspetto più strettamente didattico, Tommasetti individua una grossa responsabilità della politica nel “non aver coinvolto il sistema universitario nell’affrontare l’epidemia dal punto di vista scientifico”.

“Nei nostri atenei – spiega – ci sono fior fiore di docenti e soprattutto ricercatori dalle comprovate competenze che avrebbero potuto dare un contributo importante in termini di studio (con evidenti ricadute pratiche) al contrasto del Covid. Eppure, proprio a causa di una mancanza di regia e di una coordinazione, non sono stati coinvolti se non a titolo personale qua e là”. Con questi presupposti, qual è la prospettiva?

“Se gli atenei non dovessero riaprire a ottobre – azzarda l’ex rettore – c’è un rischio grandissimo per la tenuta dell’intero sistema universitario pubblico del Paese e, in questo, la politica avrà una grossa responsabilità”. Nel senso che, oltre a dare la possibilità ai ragazzi di poter tornare fra i banchi “occorre pensare ad un’iniezione di liquidità e ad un piano di rilancio dell’Università. Sennò, si va a picco”.

Riapriamo le Università (a ottobre) o coleranno a picco. Parla l'ex rettore Tommasetti

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