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Manca poco meno di un mese al referendum confermativo relativo alla legge sul taglio dei parlamentari, la cui data è stata fissata dal governo Conte 2 per i prossimi 20 e 21 di settembre. La consultazione popolare confermativa, cui non è richiesto un quorum, riguarda la conferma della legge sul taglio dei seggi alla Camera dei Deputati da 630 a 400 e dei seggi al Senato da 315 a 200, con una riduzione di un terzo dei rappresentanti del popolo italiano votati in Parlamento. Il M5S ha inquadrato il tema della riduzione dei seggi in Parlamento nell’ambito della “lotta alla casta” e alla riduzione dei costi della politica, a carico dei cittadini. Mentre, anche in questo difficile periodo di pandemia globale, in altri sistemi politici si dibatte su come garantire la qualità della democrazia, nel sistema politico italiano l’unica traccia di discussione è sulla quantità della democrazia: ovvero quale sia il numero minimo necessario di rappresentanti del popolo italiano in quella che è e resta una democrazia parlamentare.

Dal punto di vista politico il M5S non lesina un impegno attivo per il Sì, in virtù della circostanza che il provvedimento legislativo per la riduzione dei parlamentari è uno dei pochissimi punti del programma elettorale del 2018 ad essere stato poi realizzato dall’azione di governo. Iconica, come poche altre espressioni visive di questa esperienza governativa del M5S, la foto del “taglio” dello striscione con le poltrone, ad iter parlamentare concluso della legge. In questo senso, una vittoria del No, ardua da immaginare in questa fase, avrebbe il significato di una bocciatura sull’esperienza di governo dei Cinque Stelle, motivo per cui il nucleo del MoVimento si sta muovendo, anche in questi giorni di ferie, con i consueti video-post di Facebook per mobilitare il proprio elettorato. L’acquiescenza del Pd sul tema appare legata più all’esigenza di non suscitare ulteriori turbolenze nella complessa maggioranza politica di questo governo che non fondata su una reale fiducia sulle capacità taumaturgiche del provvedimento di taglio dei parlamentari. Il clima di generale incertezza nel paese dovuto ai seguiti sanitari, sociali ed economici di Covid-19 e lockdown e uno specifico disinteresse verso le vicende di architettura istituzionale da parte dell’opinione pubblica italiana sostengono la posizione che non si tratti di un tema su cui ingaggiare battaglie politiche o assumere posizioni di principio sul tema all’interno della maggioranza.

Dal punto di vista comunicativo, le ragioni del No al voto referendario incontrano le consuete difficoltà che un tema complesso presenta nell’essere trasmesso all’opinione pubblica italiana. In particolare, esistono tre tipi di difficoltà che andrebbero superate in tempi rapidi per avere un minimo di possibilità di riuscita. In primo luogo, manca una figura che impersoni la posizione del No, come fece Zagrebelsky nel referendum costituzionale del 2016, opponendosi, su stampa, media e persino social, alla posizione favorevole di Renzi. L’esigenza di trovare un leader che personifichi la posizione è un’esigenza legata alla semplificazione delle posizioni, per cui un tema acquisisce seguito laddove esso trova un leader in grado di mettere al servizio della causa la propria faccia e la propria reputazione politica.

In secondo luogo, c’è un’esigenza di semplificazione di una posizione in linea di massima di difficile assunzione da parte dell’opinione pubblica. Tutti vogliono risparmiare denaro pubblico per la gestione della cosa pubblica. Si tratta di individuare strumenti, esempi e parallelismi in grado di rendere con semplicità e chiarezza il senso della posizione del No. Manca quindi un apparato comunicativo metaforico efficace. Un sistema di casi ed esempi, in grado di spiegare che se sottraiamo ad un’automobile in movimento 1/3 delle parti meccaniche ed elettriche senza riprogettarne il funzionamento complessivo, nella migliore delle ipotesi quella vettura funzionerà con minore efficacia, nella peggiore farà un incidente grave. Il dibattito pubblico a favore del No potrebbe trarre beneficio da una spiegazione concreta e aderente alla realtà sulle conseguenze di un taglio dei parlamentari non accompagnato da un adeguato e contestuale sistema di riforme per il miglior funzionamento della macchina istituzionale.

Infine, risulta ancora poco sviluppato il dibattito pubblico sui mass media generalisti sul tema. Se alcune testate giornalistiche nazionali, come Repubblica, hanno assunto una posizione chiara a favore del No, un coinvolgimento maggiore del medium televisivo sarebbe utile, secondo la logica per cui ogni competizione referendaria o elettorale, si vince con sondaggi, marketing politico e televisione. Pur nella comprensione che il tema referendario non scaldi più di tanto i cuori degli italiani in questa difficile fase sociale ed economica, un tentativo di mediatizzazione televisiva andrebbe portato avanti dai promotori del No, che invece tendono ad affidarsi maggiormente ad una capillare presenza sui social.

Ricerca di un leader efficace che ne incarni la posizione, selezione di argomentazioni semplificate ma non banalizzanti e creazione di un dibattito pubblico popolare sull’unico medium ancora in grado di muovere le masse sono i requisiti che la campagna del No sta ancora mettendo a punto. Questioni comunicative da risolvere in fretta, che diventano sempre più urgenti e necessarie, dato il difficile contesto e il breve tempo disponibile per la campagna referendaria.

Di Maio spinge per il Sì al referendum. E chi per il No? L’analisi di Antonucci

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