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“La scienza può essere efficace nell’assicurare benessere alla nazione solo se intesa come membro di una squadra, sia in tempi di pace o di guerra. Ma senza progressi scientifici, nessun risultato in altre direzioni può assicurare la nostra salute, prosperità e sicurezza come nazione nel mondo moderno”. 

Con queste parole, Vannevar Bush, padre e pioniere della scienza americana nella seconda metà del Novecento, introduceva nel suo monumentale rapporto Science. The Endless Frontier, redatto nel luglio del 1945 poche settimane prima dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, la sua grande visione per il futuro ruolo della scienza e del progresso tecnologico nel garantire la crescita e la sicurezza degli Stati Uniti. 

Bush, prima della guerra a capo del Carnegie Institution di Washington, era stato nominato dal presidente Franklin D. Roosevelt nel 1940 a dirigere il National Defense Research Committee e in seguito l’Office of Scientific Research and Development, attraverso i quali coordinò e mobilitò gli scienziati statunitensi durante la Seconda guerra mondiale. Infatti, sotto la sua influente leadership e sfruttando le immense risorse rese disponibili dal governo per facilitare i progressi nella ricerca e così contribuire allo sforzo bellico, numerose furono le scoperte in sterminati campi, dagli armamenti militari e all’aviazione, passando per l’utilizzo sistematico della penicillina fino al razionamento del cibo. Senza dimenticare che il “General of Physics” supervisionò il lavoro di due terzi dei fisici arruolati sotto il progetto Manhattan. Testimone del decisivo apporto della scienza nella vittoria totale sul nazifascismo, già un anno prima della fine del conflitto il presidente Roosevelt si rivolse a Bush per chiedere raccomandazioni su come promuovere la ricerca scientifica e tecnologica anche in tempo di pace. 

Il 25 luglio 1945, Vannevar Bush presentò il suo rapporto, argomentando come quest’ultime fossero di vitale importanza per assicurare il benessere e la sicurezza economica degli Stati Uniti nel futuro. In questa direzione, propose di promuovere un approccio centralizzato, vedendo nel governo federale un’istituzione chiave per finanziare la basic research nelle università, nei college e nei centri di ricerca, laddove, a suo dire, fiorivano i talenti. La sua visione venne ben presto materializzata con la creazione, cinque anni più tardi, della National Science Foundation da parte del Congresso, nonostante fossero nati nel frattempo altri istituti legati alle agenzie federali (come l’Atomic Energy Commission, il National Institutes of Health e l’Office of Naval Research) e imperversasse il dibattito sulla questione della relazione tra l’autonomia della scienza (e degli scienziati) dal potere politico. Ciò nonostante, la Nsf e le politiche scientifiche che si sono succedute nel corso della Guerra fredda hanno continuato a riflettere la straordinaria visione di Vannevar Bush e la sua grande fiducia nella virtuosità della ricerca di base. 

Oggi, a quasi 75 anni dal suo monumentale scritto, il dibattito sulla ricerca accademica e il progresso tecnologico è tornato ad essere un tema centrale, specialmente per le possibili ricadute sulla sicurezza nazionale ed economica americana di tecnologie come l’intelligenza artificiale, il quantum computing e il 5G, per citarne alcune. Soprattutto per il timore che a dominare la prossima frontiera della scienza e della tecnologia sia il competitor per eccellenza del XXI secolo: la Cina. La crisi del Covid-19 ha così indotto a riflettere su alcune delle lacune e ritardi che gli Stat i Uniti pagano rispetto al rivale, rinforzando la consapevolezza che la “guerra digitale” in atto rappresenti un valido motivo per i policymakers americani di radunare risorse, e apportare modifiche alle esistenti policy scientifiche, in misure senza precedenti nella recente storia americana. 

Sabato, un gruppo di senatori guidati dal democratico Chuck Schumer e il repubblicano Todd Young hanno presentato una proposta di legge denominata simbolicamente Endless Frontier Act. Un’iniziativa da 100 miliardi di dollari concepita per ridare lustro alla leadership tecnologica americana. “Sin dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti sono stati il leader indiscusso a livello globale nell’innovazione scientifica e tecnologica, e come risultato il popolo americano ne ha beneficiato con occupazioni ben retribuite, prosperità economica e una migliore qualità della vita”, si legge nella proposta. “Oggi, questa posizione di leadership sta venendo a ridursi”. Un trend che ha visto negli ultimi decenni una progressiva decrescita degli investimenti federali in ricerca e sviluppo, sia nella ricerca applicata che in quella di base, a vantaggio di altri settori come testimonia una delle ultime analisi del Congressional Research Service. Questo, come rilevano i senatori, “mentre i nostri competitori stranieri, alcuni dei quali si impadroniscono delle proprietà intellettuali americane, investono fortemente nelle ricerche fondamentali e nella commercializzazione al fine di dominare i settori tecnologici del futuro”. Senza una significativa ripresa della spesa federale nella ricerca scientifica, nell’educazione, nel trasferimento tecnologico e nel sostegno alle imprese nel più ampio “ecosistema dell’innovazione americana”, è solo “questione di tempo prima che gli sfidanti globali dell’America possano raggiungerci e così sorpassare gli Stati Uniti in termini di primato tecnologico”. 

La proposta di legge, articolata in dieci punti, vorrebbe riformare la Nfs in National Science and Technology Foundation e orientare i fondi alla ricerca verso “tecnologie specifiche” che possano avere “implicazioni geostrategiche” per il Paese, con una generale ristrutturazione delle modalità con cui erogare i fondi (come detto, 100 miliardi di dollari in 5 anni) attraverso la supervisione di un nuovo comitato di consiglieri nel Directorate for Technology per una pianificazione più strategica. Inoltre, un ulteriore supplemento di 10 miliardi verrebbe destinato al Dipartimento del Commercio per selezionare dieci hubs tecnologici particolarmente virtuosi e così incentivare l’innovazione a livello regionale e statale. I settori chiave individuati sono l’intelligenza artificiale e il machine learning, i computing ad alto potenziale, i semiconduttori e altri hardware avanzati, i sistemi informatici, la robotica, l’automazione e la manifattura digitale, la prevenzione dei disastri naturali e antropogenici, l’Ict, la biotecnologia, la genomica e biologia sintetica, la cybersecurity e le tecnologie relative alla gestione dei big data, le scienze dei materiali e ingegneristiche. 

Oltre a individuare con precisione i settori strategici, la proposta di legge riconosce anche la necessità di cambiare le modalità di gestione e utilizzo dei fondi rispetto al passato. E questo ha un’importanza fondamentale, dal momento che come commenta Rafael Reif, presidente del Massachussetts Institute of Technology, sulle pagine di The Hill, “per sfidare il modello così differente di crescita della Cina, noi non dobbiamo solo investire più in scienza e tecnologia”, ma soprattutto “dobbiamo muoverci più efficacemente dal successo scientifico all’impatto sul mercato”. Perché è la natura stessa di queste tecnologie, duali per le loro applicazioni civili e militari, a suggerire questo cambio di paradigma nell’approccio alla ricerca. L’innovazione è un’invenzione che ha un impatto più significativo quando sfocia in applicazioni concrete e si adatta alle esigenze. “Supportare questo tipo di ricerca con un occhio alle sfide del mondo reale”, prosegue Reif, “è il tipo di pensiero che ha guidato la Defense Advanced Research Projects Agency (Darpa) a sviluppare quello che è diventato Internet”. È questo tipo di innovazione, finanziata dalla Nsf, “quello che serve per riconquistare la leadership americana sia nella scienza che nella tecnologia per garantirci prosperità e sicurezza”. Rimane qualche dubbio sulla compatibilità di questo approccio con la missione storica della Nsf, come evidenzia il suo ex direttore Neal Lane, consigliere scientifico di Bill Clinton: “È l’unico posto all’interno del governo federale che si occupa del progresso della scienza, bisogna fare attenzione quando vi si ha a che fare”.  

Per i legislatori, tuttavia, non c’è più tempo da perdere. Anche se non viene fatto riferimento esplicito alla Cina, Schumer e Young hanno ben chiaro quale sia la posta in gioco: “Il Paese che vincerà la corsa in queste tecnologie cruciali”, scrivono, “sarà la superpotenza del futuro”. 

La frontiera infinita. Così il Congresso Usa rilancia la sfida tecnologica alla Cina

Di Alberto Prina Cerai

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