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Quanti europei non si schiererebbero con gli Stati Uniti in un’eventuale fanta-guerra con la Cina? Pochi. Ed è un successo del mix tra soft e hard power cinese; ossia delle operazioni strategiche con cui Pechino s’è costruito uno spazio di controllo in Europa. Ruolo impossibile da creare non ad excludendum americano. I risultati di un sondaggio che l’Ecfr ha presentato alla Conferenza internazionale sulla Sicurezza di Monaco parlano chiaro.

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La maggioranza dei cittadini europei resterebbe neutrale, sebbene con Washington si condividano da sempre i valori profondi della nostra democrazie e nei campi di diritti, nonché i collegamenti economico-finanziari, commerciali, di difesa e sicurezza, culturali e religioso, e in definitiva politici. Da sempre: è questo insieme di condivisione e accomunamenti che ha creato ciò che conosciamo come “Occidente”.

Lindsay Goram, analista di Secure Democracy (un’organizzazione bipartisan transatlantica per la difesa delle democrazie ospitato dal German Marshall Fund), fa notare un passaggio importante: “Dieci anni fa uno studioso europeo chiese a uno studioso cinese: Che aspetto ha il partenariato strategico cinese-europeo? Lo studioso cinese rispose: Speriamo che quando la Cina entrerà in guerra con gli Stati Uniti, l’Europa rimarrà almeno neutrale”.

Questo sta succedendo, almeno secondo i dati dell’Ecfr (ça va sans dire che qualche decennio fa le risposte al quesito del think tank europeo sarebbero state piuttosto diverse). “I risultati del sondaggio veramente dannosi e deprimenti da molti paesi della Nato. Gli Stati Uniti sono almeno in parte responsabili. È tempo di riformulare questa competizione attorno a valori democratici, non alla potenza economica o militare. Il messaggio conta qui, e dobbiamo unirci attorno ai nostri punti in comune”, aggiunge Gorman.

Non è una novità che i cinesi abbiano usato le penetrazioni spinte dall’economia per costruirsi un risultato politico. Un esempio di attualità riguarda il caso Taiwan-COVID19. Organizzazioni internazionali guidate dalla Cina — perché Pechino è in cima alla lista dei finanziatori — hanno trattato Taipei alla stregua di una provincia cinese, ossia hanno seguito la costruzione narrativa del Partito Comunista cinese, che la considera un territorio ribelle da riconquistare. L’Oms ha accettato la richiesta di Pechino di non passare informazioni direttamente a Taiwan; l’Icao ha deciso di tagliare i voli dall’Isola alla pari di quanto fatto in tutto il resto del territorio cinese. Decisioni che traspongono sul piano internazionale visioni politiche del Dragone. Tutto frutto di una penetrazione del tutto simile a quella europea.

AidData, un laboratorio di ricerca del W&M Global Research Institute, ha presentato lo scorso mese un grafico formidabile: in rosso (a intensità crescente) sono indicati i luoghi in cui i cinesi hanno investito in infrastrutture.

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Si tratta in molti casi di mega-progetti in aree meno sviluppate su cui la Cina ha messo lo zampino sia per interesse diretto (guidare lo sviluppo di quei paesi attraverso la propria economia e il proprio commercio), sia per ottenerne tornaconto indiretto: l’appoggio politico da tradurre in sostegno all’interno di quelle organizzazioni internazionali.

La competizione tra Stati Uniti e Cina è stata resa esplicita ed elevata a dossier di carattere globale dall’amministrazione Trump. Ma è una linea bipartisan, ed è assolutamente condivisa anche da alcuni dei contendenti presidenziali Democratici. Per esempio, Pete Buttigieg, che in queste fasi iniziali della corsa Dem per la Casa Bianca ha fatto alcune dichiarazioni dimostrando che non sarebbe troppo morbido con la Cina, anche a causa di queste penetrazioni con cui Pechino si sta creando spazi ai danni degli Stati Uniti.

“Per troppo tempo abbiamo sottovalutato le ambizioni della Cina, sopravvalutando la nostra capacità di plasmarle. Dobbiamo invece concentrarci sul ripristino della nostra democrazia e sul reinvestimento nella nostra competitività economica e tecnologica; inoculazione di società aperte da interferenze politiche corrotte, coercitive o segrete; rafforzare, piuttosto che sforzare, le nostre alleanze al fine di esercitare pressioni collettive sulla Cina per pratiche economiche sleali, violazioni dei diritti umani e intimidazione nei confronti di paesi che si battono per la loro sovranità; riallineare gli investimenti in difesa e altri strumenti di sicurezza nazionale per riflettere la modernizzazione militare della Cina a spettro completo; e ridurre le vulnerabilità dall’interdipendenza economica districando i settori più sensibili delle nostre economie (in modo ordinato, non caotico) e garantendo che le risorse e le tecnologie americane e alleate non sostengano l’oppressione e la sorveglianza autoritarie”, ha detto Buttigieg.

 

Pechino ha ottenuto quello che voleva dagli europei? Il sondaggio Ecfr

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