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Il ministro per gli Affari Europei Vincenzo Amendola è a Washington per un’intensa due giorni di incontri ad ampio raggio nella capitale americana: incontri politici al Congresso, ma anche occasioni di dialogo con la comunità intellettuale della capitale, sia quella dei think tank che quella dell’accademia. Ed è a quest’ultima che il ministro si è dedicato ieri, parlando ad una platea molto ampia e variegata, formata da studenti e accademici, esperti e semplici curiosi, alla Georgetown University.

L’incontro dal titolo “The Future of Europe: Italy’s Perspective” (Il Futuro dell’Europa: la prospettiva italiana) è stato moderato dal rettore della Georgetown, il professore di “History and Classics” Christopher S. Celenza e ha visto il ministro interagire con la platea sul futuro dell’Europa visto dalla prospettiva italiana: una prospettiva certamente non banale, dove le sfide del futuro per quella che Amendola ha definito la “potenza gentile” dell’Europa vengono declinate non solo a livello di “ambizioni europee” – come molti fanno, senza muoversi però in maniera più perentoria per dare sostanza concreta a queste ambizioni.

In tal senso, il richiamo di Amendola a un’Europa che produce troppe ambizioni e narrative di quanto ne riesca realmente a consumare, riprendendo e riformulando la famosa massima di Churchill sui Balcani che “producono più storia di quanto ne riescano a consumare”, è un richiamo profondamente realista alla necessità europea di essere più conseguenziale e cercare soluzioni concrete ai problemi del domani, che esulino da una certa retorica che scambia speranze e obiettivi.

Il primo cruccio è la Brexit. Una sfida che pone gli europei dinanzi alla necessità di “rafforzare il processo d’integrazione” senza attendere inermi il declino demografico del Vecchio continente e il cedimento del sistema sociale europeo. Ma ci sono altre minacce non meno preoccupanti che arrivano da fuori, ha ricordato Amendola. È il caso di una presenza sempre più assertiva di due grandi player internazionali e una potenza regionale: Cina e Russia da una parte, Turchia dall’altra.

In questo quadro Amendola ha delineato in maniera chiara cosa l’Italia può fare per aiutare l’Europa a fare il passaggio dal vorrei al posso. Può anzitutto porsi come cerniera tra un’Africa demograficamente in espansione ma anche foriera di opportunità, e un’Europa che – con il nuovo Green Deal – vuole coniugare sviluppo e sostenibilità in maniera più efficace.

Piaccia o meno, i destini dei due continenti sono destinati a intrecciarsi sempre di più. Non, però, all’insegna di Europa “paternale’ rispetto all’Africa e al suo sviluppo. Non a caso, il ministro ha usato l’espressione “joint-venture”, dove i partner africani non sono più ricettori passivi di aiuti economici, ma agenti concreti che – in collaborazione con l’Europa – diano un impulso alla crescita del loro Paese. Questo è un passaggio fondamentale che i governi africani sottolineano spesso e volentieri: la necessità di essere considerati agenti attivi e forgiatori dei propri destini, e non solo spettatori della storia.

Chiaramente, in questo scenario, il Mediterraneo gioca un ruolo preponderante e l’Italia deve necessariamente utilizzare questo asset per dare sostanza politica all’ambizione europea. Passaggio che può sembrare banale, ma che banale non è: l’Italia è un Paese mediterraneo per storia e geografia, ha sottolineato il ministro, ma non necessariamente per vocazione geopolitica. La declinazione del Mediterraneo nella percezione geopolitica italiana è stata spesso claudicante, con quest’area sovente soggetta ad altre direttrici. Non è casuale che questo richiamo venga da un politico nato e cresciuto politicamente a Napoli, che, ha ammesso Amendola, un po’ come il Paese, non sempre ha saputo sfruttare a dovere la sua “mediterraneità”.

Come rafforzare dunque la “potenza gentile europea”? Amendola ha messo in fila poche parole chiave. Energie rinnovabili, investimenti sempre più green, sviluppo dell’intelligenza artificiale. E poi rafforzare i legami con i partner del Mediterraneo, che è storicamente “luogo di incontro” prima ancora che di conflitto. È davvero “il Mediterraneo di Braudel”, un crocevia di culture, popoli, storie, che non possono essere raccontati se non nella loro concordia discors.

L’Italia, ha concluso Amendola, può aiutare l’Europa a forgiare un futuro migliore “riscoprendo la propria vocazione Mediterranea”. Questa, ha chiosato il ministro, è anche la strada maestra per riportare Roma ad essere centrale a Bruxelles a fianco di Parigi e Berlino. Il vertice italo-francese di Napoli in programma a fine febbraio può essere una prima occasione per dimostrarlo.

L'Italia riscopra la vocazione mediterranea. La lezione di Amendola a Washington DC

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