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Com’era prevedibile, il Libano è diventato uno dei fronti più caldi dello scontro tra Stati Uniti e Iran dopo l’uccisione del generale pasdaran Qassem Soleimani. E quando si parla del Paese dei cedri si pensa subito a Hezbollah, l’organizzazione sostenuta dal regime sciita di Teheran e considerata da diversi Paesi (come Stati Uniti, Israele e Canada) e organizzazioni internazionali (Lega araba e Consiglio di cooperazione del Golfo) un gruppo terroristico.

Proprio nelle ore in cui a Beirut nasceva un nuovo governo – filo Hezbollah e senza i partiti tradizionalmente vicini all’Occidente -, gli Stati Uniti e i loro alleati in giro per il mondo decidevano di aumentare la pressione sul gruppo finanziato dal regime degli ayatollah. 

Venerdì è toccato a un Paese dell’Europa: il Tesoro britannico ha congelato tutti gli asset di Hezbollah inserendo nella sua blacklist l’intera organizzazione. Lunedì è stato il turno del Sud America. In particolare dell’Argentina, che ha ricevuto gli elogi del segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, in visita nella capitale, per aver prorogato il congelamento degli attivi dell’organizzazione. Come ricorda l’Agenzia Nova, il contrasto al movimento sciita è stato tra i temi al centro della terza conferenza ministeriale emisferica sulla lotta al terrorismo, tenuta lunedì a Bogotà, in Colombia.

“Paraguay, Brasile e Perù hanno arrestato agenti di Hezbollah negli ultimi anni per terrorismo, riciclaggio di denaro e altre accuse. Argentina e Paraguay hanno sanzionato Hezbollah e altri gruppi terroristici nell’ultimo anno, mentre Honduras e Guatemala hanno dichiarato l’intenzione di designare Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche. Apprezziamo questi progressi e incoraggiamo gli altri Paesi a seguire questi esempi”, si legge in una nota del Dipartimento di Stato americano diffusa alla vigilia della conferenza.

Le congratulazioni con i Paesi sudamericani sono arrivate anche dal premier israeliano Benjamin Netanyahu e dal ministro degli Esteri israeliano Israel Katz. A evidenziare, come scrivevamo alcuni giorni fa, come il caso Soleimani abbia rafforzato il legame tra Washington e Gerusalemme grazie soprattutto al lavoro del segretario Pompeo, la figura dell’amministrazione Trump più attiva verso lo Stato ebraico.

Ora, secondo Washington, tocca all’Unione europea, che considera soltanto l’ala militare di Hezbollah un’organizzazione terroristica. In queste ore, quindi, Richard Grenell, ambasciatore statunitense in Germania ma che spesso si occupa di questioni europee, è a Bruxelles per discutere il tema al Parlamento europeo. È stato uno dei registi dell’operazione che ha portato, un mese fa, il Parlamento tedesco a chiedere al governo di imporre il divieto totale alle attività di Hezbollah, militari e politiche, e di farsi promotore di una simile misura anche a livello europeo.

Infatti, l’Unione europea ha nella sua blacklist soltanto il ramo armato dell’organizzazione. È tempo, dice Washington, che tale distinguo non sia più fatto, come ha scritto l’ambasciatore Grenell oggi in un editoriale su Politico. Per il diplomatico “Hezbollah lavora per il regime iraniano, non per i libanesi” e “una designazione europea di Hezbollah è necessaria per chiudere la vasta rete europea di reclutamento e raccolta fondi di cui ha bisogno per sopravvivere”.

In tutto questo, l’Italia? In Libano siamo presenti con i nostri uomini: un migliaio, dispiegati nella missione Unifil delle Nazioni Unite, stanziati nella zona Sud del Paese controllata proprio dagli sciiti di Hezbollah. Come ha spiegato il generale Bertolini alcuni giorni fa a Formiche.net, “se dovesse esserci un inasprimento della situazione con azioni di Hezbollah (che ha già promesso di punire i killer di Soleimani, ndr) contro Israele, da molti ritenuto il mandante occulto di ciò che è successo, i nostri si troverebbero in situazione critica”. 

E visto che il vicepresidente statunitense Mike Pence parlerà anche di cooperazione militare quando venerdì a Roma incontrerà il governo italiano, è probabile che la questione libanese sia al centro dei colloqui. Washington da tempo chiede di riveder il mandato di Unifil per agire contro Hezbollah mentre attende la valutazione della missione che il segretario generale Onu, Antonio Guterres, dovrà presentare entro il 1° giugno.

La speranza Usa è che anche l’Italia voglia fare la sua parte nella lotta al terrorismo in Libano. Ma per farlo serve superare quell’impasse sulla designazione di Hezbollah come organizzazione terroristica che a fine 2018 aveva causato un scontro nel governo Conte I, quello gialloverde, tra i due vicepremier di allora, Matteo Salvini (che da Gerusalemme, dopo un giro in elicottero sul confine con il Libano, aveva bollato il gruppo come “terroristi”) e Luigi Di Maio (che si unì al ministero della Difesa, che spiegò come le dichiarazioni del leader leghista “mettono in evidente difficoltà i nostri uomini”).

(Foto: Alessandro Balduzzi)

Hezbollah nella blacklist. Il pressing Usa su Ue

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