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Quando nel 1977, di fronte alla porta dello studio privato di Francesco Cossiga (allora ministro dell’Interno) a via San Claudio 69, una bomba terroristica esplose e fece danni al palazzetto, il politico democristiano di lungo corso (che per puro caso non era nel locale in quanto andato ad una riunione improvvisa a Palazzo Chigi) si scusò con i vicini per essere “un condomino scomodo” e disse “occupiamoci di cose più importanti”.

Il ricordo di questo episodio può essere utile all’On. Vincenzo Spadafora questo fine settimana. Ha di fronte a sé un dilemma: se essere considerato, e ricordato, come ministro della Repubblica italiana incaricato del settore delle politiche giovanile e sportive, ed in grado di distinguere tra “cose” più o meno importanti oppure come il portatore di interessi di alcune squadre e società di calcio in uno dei momenti più difficili per il Paese degli ultimi settanta anni.

È un dilemma più semplice di quello del medico, e pari d’Inghilterra per le sua rivoluzionaria cura contro la tubercolosi (siamo nel 1906), nella commedia “A Doctor’s Dilemma” di George Bernard Shaw: avendo poche risorse e non potendo trattare più di dieci pazienti deve decidere se salvare un suo collega o un ricco anziano della cui giovane moglie si è innamorato. In una commedia, considerata come la più pungente satira della professione medica dai tempi de “Il Malato Immaginario” di Molière, gli interrogativi etici e politici sono inquietanti e profondi.

Le risposte ai problemi posti a Spadafora sono, invece, lineari: un secco no alle squadre di calcio che chiedono privilegi ed esenzioni. Si tratta di uno sport che comporta – come il rugby ed a differenza del golf e del tennis – contatto fisico ed, inoltre, i giocatori hanno la prassi – buona e cattiva che sia – di abbracciarsi, sputare per terra e quant’altro; quindi – come dicono tutti i medici – le partite (pure a stadi chiusi) comportano un forte rischio di contagio per gli sportivi e gli altri (personale tecnico e amministrativo) essenziali per fare una partita.

Alle geremiadi ed al pianto greco di questi giorni (ed al pericolo che alcune società, a volte a causa di ingaggi troppo costosi, siano costrette a portare i libri in tribunale), il ministro della Repubblica può facilmente dire che ci si deve “occupare di cose più importanti” e rispondere con i numeri del Documento di Economia e Finanza: ventiquattromila morti, una profonda recessione, la chiusura di oltre centomila imprese, sette milioni di nuovi cassa integrati, un incremento spaventoso della disoccupazione ed oltre due milioni di persone che si aggiungono alle cinque già sotto la soglia di povertà. Una risposa secca e decisa porrà fine a questo teatrino che il 95% degli italiani sta guardando con stupore – e con vergogna che abbia luogo nel nostro Paese in queste settimane.

Gioverà anche al calcio che potrà risorgere su basi sane e senza tifoserie spesso legate a ambienti che destano perplessità.

Il principale beneficiario, però, sarà proprio Spadafora che darà una solida prova di essere da ministro della Repubblica al servizio di tutti gli italiani non di un gruppo particolaristico.

Il calcio, Spadafora e il dilemma del dottore secondo Pennisi

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