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Il voto di domani, 12 febbraio, con il quale l’Aula del Senato probabilmente accoglierà la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini per il caso della nave Gregoretti della Guardia costiera, segnerà una svolta politica di cui ancora non conosciamo le conseguenze e che potrebbe non essere l’unica. L’ex ministro dell’Interno si dice certo che ci sarà il via libera confermando di essere pronto a sedersi davanti a un giudice, ma al tempo stesso sa che si sta incamminando su un terreno sconosciuto: l’iter ordinario, che comincerà davanti al tribunale di Catania, proseguirà fino alla Cassazione in tempi non brevi. Inoltre, l’accusa di sequestro di persona aggravato dall’essere stato commesso da pubblico ufficiale e a danno di alcuni minori prevede una pena da 3 a 12 anni, che diventano 15 in caso di minore di 14 anni. Pur ipotizzando la pena minima, sempre nel caso che Salvini fosse riconosciuto colpevole, già una condanna in primo grado non gli impedirebbe di candidarsi alle successive elezioni politiche, ma rischierebbe subito dopo la sospensione dall’incarico parlamentare in base alla legge Severino del 2012.

Come quasi sempre accade in caso autorizzazioni a procedere, le valutazioni prevalenti sono politiche e non giuridiche. Questa volta ancora di più: terreno di scontro è un diverso approccio al contenimento dei flussi migratori con il leader del partito più votato sul banco degli imputati. Inoltre è alle porte un terzo caso legato all’immigrazione, dopo il no all’autorizzazione per la nave Diciotti e il probabile sì per la Gregoretti. La Giunta delle immunità del Senato sta per entrare nel merito della vicenda Open Arms dopo la richiesta di autorizzazione avanzata stavolta dal Tribunale dei ministri di Palermo: il calendario prevede entro il 17 febbraio una possibile audizione di Salvini o l’invio di una sua memoria difensiva; il 18 il presidente della Giunta, Maurizio Gasparri (Forza Italia), come relatore illustrerà la sua proposta; nei giorni successivi è previsto il dibattito e il 27 febbraio il voto finale che comunque dovrà arrivare entro il 3 marzo, cioè 30 giorni dopo la trasmissione degli atti.

Il caso Open Arms è molto più complicato: cominciato nello scorso agosto con Salvini al governo e finito con Salvini che aveva aperto la crisi da un paio di settimane, comprende infuocati scambi di lettere a Ferragosto tra ministro dell’Interno e presidente del Consiglio, un decreto del Tar che imponeva l’ingresso della nave della Ong nelle acque italiane per prestare “l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli”, lo sbarco dei minori disposto dal titolare del Viminale “suo malgrado” su pressione di Palazzo Chigi, ispezioni sanitarie a bordo e infine il sequestro della nave deciso dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, il 20 agosto. Secondo Gasparri “c’è un’oggettiva maggiore complessità perché ci sono fatti più articolati e bisogna valutarli tutti” e, visto il clima politico e le posizioni dei partiti sul caso Gregoretti, non è escluso che nelle prossime settimane l’Aula del Senato voti a favore di un’altra autorizzazione a procedere a carico del leader leghista.

Al netto delle speculazioni e ricordato che l’anno scorso Salvini fu archiviato dai tribunali dei ministri di Roma e di Catania per risibili accuse su altri due casi di navi ong, molti osservatori si domandano preoccupati se non siamo alla vigilia di un’eliminazione dell’avversario politico per via giudiziaria. Una preoccupazione giustificata che forse si sarebbe evitata con un approccio meno muscolare al tema dell’immigrazione dopo averlo posto con decisione sui tavoli europei. Troppi muscoli hanno compattato i nemici e creato problemi giudiziari: è per questo che il voto di domani apre scenari imprevedibili.

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