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IL RICONOSCIMENTO FACCIALE

Tra queste ce ne sono tre che producono apparecchiature di videosorveglianza, e che incrociano intelligenza artificiale e riconoscimento facciale: Hikvision, SenseTime e Megvii.
Il tema era finora rimasto sullo sfondo della contesa, ma è da tempo nei pensieri americani. Ed è, a suo modo, legato al 5G, nella misura in cui molte applicazioni dell’IoT saranno abilitate proprio dall’alta velocità e dalla bassa latenza che caratterizzeranno le reti mobili ultraveloci di nuova generazione. Dal riconoscimento dei manifestanti a Hong Kong a un utilizzo pressoché capillare nella Cina popolare, passando per il controllo operato sulla minoranza uigura nello Xinjiang, Pechino ha dimostrato secondo Washington di adottare in modo ‘spregiudicato’ e invasivo le moderne tecnologie di videosorveglianza. Telecamere, di fabbricazione domestica, sulle quali è alta la preoccupazione degli esperti di sicurezza, soprattutto per la capacità di identificare e profilare i cittadini. Una evenienza ritenuta molto pericolosa oltreoceano, perché a detta di Washington sarebbe in corso a Pechino una fusione delle componenti civili-militari sotto un quadro sostanzialmente controllato dal governo, con le aziende che si muovono secondo linee politiche e geopolitiche.

CHE COSA SUCCEDE

Entrando nella Entity List del Dipartimento del Commercio Usa, le compagnie in questione saranno soggette alle medesime limitazioni che coinvolgono Huawei: niente forniture da società americane senza il consenso di Washington. Obiettivo principale, ha spiegato il segretario al Commercio Wilbur Ross, garantire che le tecnologie Usa “non vengano utilizzate per sopprimere popolazioni minoritarie indifese”. Ma, ha spiegato in una intervista con questa testata il professor Maurizio Mensi, ci sono anche i sospetti “di costituire un potenziale veicolo di spionaggio”, tant’è che “una legge del 2018 aveva vietato l’acquisto e l’uso di prodotti di telecomunicazioni e sorveglianza di una serie di società cinesi. Obiettivo, insieme a Hytera Communications Corporation, Hangzhou Hikvision, e Dahua Technology.

IL CASO HIKVISION

Già a agosto di quest’anno, su queste pagine si era raccontato come il governo americano stesse considerando l’ipotesi di impedire a Hikvision (che ha fornito prodotti in occasione delle Olimpiadi di Pechino 2008 e dei Mondiali di calcio in Brasile del 2014, e tra i suoi clienti conta anche l’aeroporto di Linate, a Milano) di comprare tecnologia americana utilizzabile per dispositivi di riconoscimento facciale.

IL TEMA IN ITALIA

Ma la questione del riconoscimento facciale non riguarda solo gli Stati Uniti. Qualche mese fa, Formiche.net fu tra i pochissimi a parlare del tema, posto anche dall’alleato americano, dell’opportunità e del potenziale pericolo che dati sensibili come quelli biometrici possano finire nelle mani di Pechino. L’occasione per farlo fu la decisione del Comune di Roma di consentire al colosso delle telco Huawei, in occasione della tappa romana di Formula 2, di installare in due aree del centro della Capitale – San Lorenzo e l’Esquilino – i suoi sistemi di videosorveglianza. Circostanza, si raccontò allora, che portò a un acceso dibattito approdato anche in Parlamento, sull’onda delle preoccupazioni degli addetti ai lavori. Le telecamere intelligenti, infatti, sono sì in grado di “pedinare” il presunto autore di un reato o, addirittura, riconoscere persone con precedenti, grazie a un sistema collegato con le banche dati delle forze dell’ordine. Ma, allo stesso tempo, esperti di sicurezza sentiti da questa testata spiegarono che, in ogni caso, sarebbe bene essere certi che questi dati non prendano altre vie. Per questo nel mondo si assiste a richieste crescenti, da parte di chi si occupa della materia, di aprire un confronto sull’adozione di tecnologie emergenti nelle città.

Non solo Huawei. Al bando il riconoscimento facciale Made in Cina

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