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Può un partito autonomista, anzi addirittura indipendentista secondo il proprio statuto, trasformarsi in un partito turbo nazionalista o, come oggi suole dirsi, “sovranista”? È quel che è successo alla Lega che, nel passaggio dall’era di Umberto Bossi a quella odierna di Matteo Salvini, ha visto mutare la sua stessa ragione sociale. È certo restato il radicamento forte, o più forte che altrove, nelle regioni del Nord padano e orientale ma ormai il partito ragiona e agisce in un orizzonte assolutamente nazionale, anzi si pone come l’unico che pretende di fare gli interessi dell’Italia tutta.

L’Unione europea, che un tempo era vista come il naturale ancoraggio di un Nord liberatosi dalla “zavorra” del Sud, viene ora considerata un potere lontano e ostile, una macchina burocratica che penalizza il nostro Paese a favore dell’asse forte fra Francia e Germania. La contraddizione fra la storia e il presente sarà formalmente superata il 21 dicembre quando un congresso del partito, convocato proprio sotto Natale, vedrà la nascita ufficiale della “Lega per Salvini”. La quale ingloberà, ma farà sopravvivere anche di vita autonoma (e a mo’ di bad company), la vecchia “Lega Nord” di Gianfranco Miglio e Bossi. Lo ha deciso ieri, alla presenza del vecchio leader, malato e sulla carrozzella, il consiglio federale, che per il resto ha visto una sorta di parata dei big leghisti: da Giancarlo Giorgetti a Claudio Borghi.

Ma cosa è oggi la Lega, questo partito che è diventato di gran lunga il primo nel voto degli italiani ma che viene considerato un po’ da tutto il deep state italiano ed europeo, nonché dalla solita sinistra in cerca perenne di un “nemico”, come pericoloso per la democrazia se non addirittura “fascista”. La prima considerazione da fare è che la locuzione “per Salvini” non può far dimenticare che la Lega è un “partito personale” solo fino a un certo punto, direi per volontà e non per realtà. Certamente Salvini, forte del suo consenso che ha resuscitato e portato in testa ai sondaggi e alle tornate elettorali locali un partito moribondo, ha oggi lo scettro del comando e una forte visibilità pubblica. Si ha tuttavia l’impressione che altri “poteri forti” interni, e di diversa sensibilità rispetto a quella salviniana, si siano solo momentaneamente e per scelta volontaria messi in sonno.

È il partito dei Giorgetti, per intenderci, con una forte anima istituzionale, ma anche quello degli Zaia e dei Fontana, ben radicato nei territori e con una indubbia capacità di amministrare. Cosa succederebbe qualora costoro si alleassero? Bisogna poi guardare le cose che in un’ottica di alleanze: saltata quella fra due forze eterogenee ma ugualmente critiche rispetto ai vecchi poteri, quale Lega e Cinque Stelle, sorge per la Lega la necessità di riproporre anche a livello nazionale l’alleanza, ipersperimentata a livello locale, con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Mentre con Giorgia Meloni la concordanza ideale è spesso nei fatti, molto meno pacifica lo è quella con il partito di Silvio Berlusconi.

È vero che, stando a certi sondaggi, Forza Italia è irrilevante. Così come vero è che probabilmente che i due partiti “sovranisti” potrebbero avere da soli la maggioranza in una prossima e ravvicinata tornata elettorale nazionale. Ma abbandonare Forza Italia e il suo mondo, per quanto residuo, a sé stessi, sarebbe a mio avviso un errore: condannerebbe la Lega a un predominio di breve durata perché non si può pensare di governare alla lunga in Italia, e nemmeno di essere ammessi nel club europeo, seppure (e giustamente) come voce molto critica, senza un coté liberale e rassicurante, fatto di attenzione, fra l’altro, ai ceti più produttivi, intraprendenti, innovativi e  dinamici del nostro Paese. Né si può pensare di lasciare alla sinistra e all’altro Matteo, Renzi, la gold share su questo mondo.

In prospettiva, la battaglia politica si fa non solo coi numeri, reali o presunti che siano. Certo, tutto questo presuppone anche da parte di Forza Italia un’apertura verso le esigenze della Lega che a volte non è dato vedere e che porterebbe senza dubbio anche a una sua “civilizzazione”. Sentir dire, come a me è capitato ieri nel corso della presentazione di un libro di Filippo Rossi organizzata in Senato da Giuseppe Moles, che il problema dell’immigrazione è un falso problema, creato mediaticamente ad arte da Salvini, significa a mio avviso non capire che la forza del leader leghista risiede nell’aver toccato problemi reali del nostro Paese, che soprattutto chi vive nelle sue periferie, urbane e non, vive quotidianamente. Il libro di Rossi è un interessante “Manifesto sulla buona Destra”, appena pubblicato da Marsilio.

Va però considerato che “buona Destra” è espressione impolitica (si fa politica con quel che c’è) o designante quel che la sinistra vorrebbe, il che non vale. Più in generale, la Destra che c’è è speculare alla sinistra che c’è: se la prima imbarca Casa Pound, la seconda ha da sempre imbarcato forze extraparlamentari e antisistema.

La Lega ha bisogno di Forza Italia (anche se non sembra)

Può un partito autonomista, anzi addirittura indipendentista secondo il proprio statuto, trasformarsi in un partito turbo nazionalista o, come oggi suole dirsi, “sovranista”? È quel che è successo alla Lega che, nel passaggio dall’era di Umberto Bossi a quella odierna di Matteo Salvini, ha visto mutare la sua stessa ragione sociale. È certo restato il radicamento forte, o più forte…

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