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Il governo di Tripoli starebbe valutando la possibilità di strutturare un’alleanza più istituzionalizzata con la Turchia, attraverso cui difendersi dall’aggressione lanciata da Khalifa Haftar. Siamo davanti al settimo mese di stallo militare. Non va avanti il piano con cui il miliziano ribelle dell’Est intende conquistare il Paese, rovesciare il Governo di accordo nazionale (Gna) sponsorizzato dall’Onu, e diventare il nuovo rais. Non va avanti però nemmeno la difesa proattiva organizzata per conto di Tripoli dalle forze locali e misuratine.

L’aiuto esterno diventa allora elemento determinante. Le armi in Libia ci sono, ma tecnologie più sofisticate vengono già spedite da fuori il Paese. Haftar sarebbe rifornito da Emirati Arabi ed Egitto, Tripoli (forse meglio dire Misurata, protettrice militare e politica del Gna) da Turchia e Qatar. Passaggi che avvengono in violazione tacita dell’embargo Onu.

Ora, a quanta pare stando a fonti misuratine di Formiche.net, Ankara avrebbe proposto al premier Fayez Serraj di costruire qualcosa di più. ”Un’alleanza di carattere difensivo”, che permetterebbe anche, al limite, l’ingresso di reparti turchi a difesa della Tripolitania.

Il Gna sta valutando, spiegano le fonti, perché il rischio è — visto anche le dinamiche siriane — la perdita di sovranità: se entrano i turchi, poi sarà difficile tirarli fuori. Ed è chiaro che se Recep Tayyp Erdogan decide per un’esposizione simile, dietro c’è un tornaconto. Sullo sfondo i contrasti intra-sunnismo (con Emirati e Arabia Saudita, con sfumature differenti più orientati su Haftar). Ma anche la possibilità di trasformare la regione occidentale della Libia in qualcosa di troppo simile a un protettorato turco.

Chi parla con Formiche.net ci tiene a far notare il quadro del conflitto. Haftar riceve aiuto dall’esterno, sul campo ci sono contractor russi della Wagner e miliziani africani ingaggiati da emiratini ed egiziani, più i rifornimenti. Non solo, perché il capo miliziano della Cirenaica bombarda (come in questi giorni) Tripoli e Misurata senza troppa discriminazione dei bersagli. Obiettivi civili come militari, ospedali, aeroporti, scuole, quartieri, finiti sotto le bombe haftariane.

“E nonostante questo, non vengono prese iniziative contro di lui. Prendiamo il caso del governo di Roma — ci dice la nostra fonte — l’Italia è un Paese che potrebbe spostare le dinamiche in Libia, ma attualmente sembra fermo. Peggio se si parla di Bruxelles in generale. Davanti a questo, l’aiuto turco diventa qualcosa da valutare”, una nuova traiettoria su cui riflettere.

A maggior ragione davanti a un altro quadro che ci viene descritto. Il tema a carattere meno militare e più politico-diplomatico dice che nell’ultimo incontro tra Erdogan e Vladimir Putin, quello della scorsa settimana a Sochi, s’è parlato anche di Libia. Il vertice sul Mar Nero ha sbloccato la crisi innescata al nord siriano, Ankara ha accettato le richieste di deconflicting russe, ma avrebbe chiesto a Mosca di rallentare il sostegno informale a Haftar. Ossia, bloccare le attività dei mercenari della Wagner, controllati da un amico personale di Putin e usati spesso dal Cremlino per il lavoro sporco.

Stando ad altre informazioni che arrivano dal campo, questo significherebbe per Haftar perdere buona parte del coordinamento delle operazioni, col rischio di veder mancare la spinta dell’offensiva — che adesso si snoda sulla tenuta o meno del fronte d’attacco su Tarhouna, a est di Tripoli. Se si unisce a un eventuale aiuto turco, le milizie della Cirenaica (già poco attive e demotivate per l’inerzia lenta dell’attacco) rischiano il ritiro.

Dunque il contesto è questo: un apparente allineamento Turchia-Russia potrebbe ripetere in Libia qualcosa di simile a quanto accade in Siria. Tripoli potrebbe trovarlo interessante perché sarebbe l’aiuto più concreto in questo momento. La scorsa settimana, in occasione del vertice Russia-Africa, anche Serraj era a Sochi, dove avrebbe ricevuto input in forma discreta sulla situazione direttamente da Putin. La conferenza africana organizzata dai russi era co-presieduta dall’egiziano Abdel Fateh al Sisi e dal capo del Cremlino.

Mosca da tempo cerca spazio come mediatrice nel conflitto libico, così come Ankara vuole un ruolo centrale. Il capo del gruppo di contatto russo per la Libia, Lev Dengov, ha dichiarato nei giorni scorsi al Kommersat che con Serraj, a Sochi, è stato firmato un accordo per fornire a Tripoli un milione di tonnellate di grano russo, ma è solo l’inizio di una cooperazione più ampia che riguarderà vari settori. Dalla costruzione di una centrale elettrica al sostegno politico. Con una questione aperta: due russi sono stati arrestati a inizio luglio perché accusati di impostare i preliminari per un piano con cui influenzare future elezioni a Tripoli — per la Russia, che ne chiede la liberazione, stavano facendo sondaggi d’opinione per un fondo di investimento. Il ritorno in patria dei due, potrebbe essere un ulteriore elemento di attivazione di nuove dinamiche.

 

 

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