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L’adesione italiana al Tempest è una scelta giusta e auspicata da tempo, ma “ci sarà da lavorare”. Nel frattempo, nella nuova Difesa europea, su cui la Francia ha puntato forte con la scelta del nuovo commissario, l’Italia deve giocarsi le sue carte, a partire da una candidatura “decisa, credibile e militare” per il nuovo vertice dell’Agenzia europea per la Difesa (Eda). Parola di Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), che abbiamo raggiunto per commentare le novità nel Vecchio Continente. Nel giorno dell’adesione italiana al progetto britannico per il caccia di sesta generazione, infatti, Ursula von der Leyen ha reso nota la squadra della nuova commissione europea. Alla francese Sylvie Goulard è andata l’importante casella del Mercato interno, dedicata alla gestione della politica industriale dell’Unione e di una rilevante novità: l’attesa Direzione generale per la Difesa e lo Spazio, formalmente “Dg Defence industry and Space”. Il piatto è ricco, considerando che il piano attuale di Bruxelles prevede di destinare 13 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027 alla nascente Difesa comune e che Parigi ha già dimostrato l’intenzione di avere un ruolo di preminenza.

Professore, la Commissione avrà una nuova Direzione generale per Difesa e Spazio. Che segnale è?

Una Dg dedicata alla Difesa era attesa da tempo. Durante tutta la scorsa legislatura dell’Europarlamento e con la precedente commissione se ne è lungamente parlato, e la direzione era auspicata da tutti. Difatti, non era pensabile che, avendo deciso di erogare finanziamenti così importanti, la commissione non ne assegnasse la gestione a una struttura apposita. Teniamo presente che la struttura che ha gestito l’Edidp (il programma-pilota in corso, biennale e con finanziamento decisamente più modesto) era piuttosto debole in termini di personale, nonché ben poco focalizzata sulla Difesa, visto che gestiva tante altre erogazioni di risorse.

Un bel passo in avanti insomma.

Direi di sì. Con la nuova Dg Defence, la commissione ha riconosciuto l’importanza del settore, nonché l’interesse dell’Unione europea a considerarlo un comparto strategico. È un messaggio importante, considerando che solo da pochissimi anni l’Ue ha iniziato ha intervenire con programmi-pilota nel campo della Difesa senza mascherarsi dietro il termine “security”. Eppure, c’è molto ancora da fare. Tutta la struttura istituzionale europea dovrebbe iniziare a tenere contro del ruolo della difesa.

In che modo?

La commissione ha fatto la sua mossa. Occorrerebbe ora che anche il Parlamento facesse lo stesso, istituendo una commissione Difesa e non una sottocommissione della commissione Esteri. Allo stesso modo, il Consiglio dovrebbe riconoscere dignità ai ministri della Difesa, costretti ancora oggi a riunirsi con vertici informali o con i colleghi degli Esteri. Un altro aspetto riguarda l’Agenzia europea per la Difesa (Eda), istituita nel 2004 come istituzione intergovernativa, in presa diretta con i governi e, in particolare con i ministri della Difesa. La nuova Dg dovrà interfacciarsi con l’Eda affinché quest’ultima, che è la voce comune dei singoli Paesi, sia coinvolta nella messa a punto dei programmi da finanziare e venga considerata un interlocutore dell’intero processo. Ciò però solleva due problemi sul vertice dell’Agenzia.

Quali?

Prima di tutto, è tempo che a capo dell’Eda venga messo un vero militare, e non un chief executive scelto sempre tra il personale diplomatico (c’è solo un caso di una figura, un tedesco, parzialmente militare). È nella logica di riconoscere alla difesa e ai militari il pieno diritto di cittadinanza europea. Poi c’è la questione delle persone che saranno al vertice.

In tal senso, la nuova Dg dipenderà dalla commissaria francese Sylvie Goulard. Un campanello d’allarme per l’Italia?

Personalmente, ritengo la nomina della Goulard positiva. Se parliamo di Unione europea, è evidente che nel campo della difesa gli Stati nazionali peseranno ancora moltissimo per diverso tempo. Con la Brexit, al di là di come finirà, è altrettanto evidente che in Europa il Paese con la maggiore dimensione nazionale nel settore sia la Francia. Perciò, il fatto che sia un francese a gestire la nuova Dg non deve meravigliare, considerando che la direzione generale avrà comunque un suo direttore. In più, la Goulard è stata, seppur per solo un mese, ministro della Difesa, e sa bene di cosa si parla. Ciò va sommato al fatto che la von der Leyen ha avuto lo stesso incarico in Germania. Sono segnali che fanno bene sperare sull’attenzione della nuova commissione per la difesa.

E per il prossimo vertice dell’Agenzia europea per la Difesa?

Qui, per completare il quadro e fare in modo che diventi più armonico e coinvolgente, sarebbe importante che il nuovo capo dell’Esa sia un italiano. Il mandato dell’attuale vertice spagnolo scade all’inizio del prossimo anno e la selezione del sostituto è già cominciata, con le candidature da inviare entro il 20 settembre. Mi auguro che l’Italia candidi un militare credibile, conosciuto e apprezzato in Europa. Serve una candidatura forte e non burocratica, sostenuta fino in fondo dal Paese. Non abbiamo mai avuto un chief executive dell’Eda italiano. C’è stato inglese, francese, tedesco e spagnolo; siamo gli unici, tra i grandi Paesi, a non averlo avuto. Sarebbe un utile completamento del nuovo quadro europeo e una garanzia sull’importanza del ruolo che l’Agenzia deve avere nel contesto comune, pur di fronte a una nuova Dg dotata di un budget di 13 miliardi a cui bisognerà fare attenzione.

Ci spieghi meglio.

La situazione istituzionale è nuova. Non vorrei che, essendo i soldi nella direzione generale, il ruolo dell’Eda venisse sminuito. Allo stesso modo, va mantenuto il ruolo del Comitato militare dell’Ue, presieduto attualmente dal generale Claudio Graziano, e del Militart staff. Sono tutti tasselli di un mosaico che deve essere preservato e rimanere equilibrato.

Ma la presidenza del Comitato militare non inibisce la candidatura italiana al vertice dell’Eda?

No. Sono due funzioni diversa e già abbiamo avuto, con francesi e spagnoli, la concomitanza di nazionalità tra questi incarichi senza che nessuno dicesse nulla.

Nel frattempo, l’Italia ha aderito al Tempest britannico, con una scelta che lo Iai aveva spiegato e auspicato da tempo. È la decisione giusta?

Assolutamente sì. Mi sembra che non ci sia che da manifestare soddisfazione. Come ho già detto, una volta tanto abbiamo trovato una posizione condivisa tra Forza armata, in questo caso l’Aeronautica, e l’industria nel senso più largo del termine, su una strategia che vedeva il progetto Tempest come l’unica opzione, neanche quella privilegiata. Ancorché ci siano stati rumori di fondo. Nelle ultime ore, ho notato che in molti tenderebbero ad attribuire al precedente governo la scelta. Vorrei però ricordare che a luglio, in un’occasione pubblica, il ministro Trenta aveva sostenuto che la scelta andava ancora definita e che aveva aperto il dialogo con i francesi per valutare la partecipazione italiana al progetto franco-tedesco, gelando molti dei partecipanti, tra cui anche il sottoscritto. Per fortuna, poi l’attenzione si è spostata sull’unica decisione possibile. Ora bisognerà lavorare perché sia tutelato il ruolo delle nostra industria.

Nonostante la scelta sia radicata nel tempo, l’adesione al Tempest è il primo atto del dicastero di Lorenzo Guerini. Quale dovrà essere il secondo?

Far partire i programmi di improvement della difesa missilistica: Camm-Er e Eambdi. Non si può scherzare di fronte alla crescente minaccia missilistica, perché la sfida è di oggi, e non di domani e tanto meno di dopodomani.

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