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Un referendum non è mai un semplice appuntamento elettorale per la politica italiana. Negli ultimi vent’anni, più ancora delle elezioni regionali, i referendum si sono rivelati mine vaganti per la maggioranza di turno che li promuoveva, magari con la speranza di vincerli. Questa volta a proporlo è decisamente una minoranza: 64 senatori, quanto basta per sospendere la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari e chiedere il verdetto del Paese alle urne. La tabella di marcia è segnata. Ai sensi della legge 352 del 1970 dal 12 gennaio, data di scadenza dei tre mesi per depositare il quesito, il governo ha 60 giorni per emanare il decreto di indizione, ovvero entro il 12 marzo. Da qui il countdown per il voto: una domenica fra il 50esimo e il 70esimo giorno dall’indizione, tra il 4 e il 24 maggio. C’è dunque una finestra di circa due mesi per tornare al voto con un Parlamento nel pieno della sua composizione. Un elemento potenzialmente destabilizzante per la legislatura, spiega a Formiche.net Nicola Lupo, professore di Diritto parlamentare alla Luiss.

Professore, il referendum cambia le carte in tavola?

Nelle prossime settimane si deciderà il destino della legislatura. Ci sarà la presentazione del quesito referendario, a meno che qualcuno non ritiri la firma. Poi il giudizio della Corte Costituzionale sul referendum per il maggioritario della Lega. Infine le elezioni in Emilia-Romagna. Questi tre tornanti saranno decisivi per la tenuta del governo.

Governo a rischio?

Non c’è una risposta univoca. La mia personale opinione è che il referendum abbrevia la legislatura, perché aumenta le chances di uno scioglimento anticipato delle Camere. Andare a votare con l’attuale formato del Parlamento oggi conviene a un numero cospicuo di forze politiche, perché mette più posti in palio e rinvia il taglio dei parlamentari.

Scenario: si va al voto anticipato e dopo si celebra il referendum. Se vince il sì il Quirinale deve sciogliere di nuovo le Camere?

Assolutamente no, non ci sarebbe un effetto a cascata. Il presidente può benissimo non sciogliere le Camere e accettare che il taglio dei parlamentari divenga effettivo alla legislatura successiva, non esistono vincoli in senso contrario.

Il suo parere sulla riforma?

La riforma è giusta ma la motivazione sbagliata. Chiariamoci: la riduzione dei parlamentari è sacrosanta, viene invocata da anni e credo sia condivisibile. Ma la vera ragione che giustifica la riforma non è tanto il taglio dei costi della politica quanto semmai un miglioramento qualitativo del lavoro parlamentare.

Ha citato un altro referendum, quello leghista per il maggioritario. Sarà promosso dalla Corte Costituzionale?

La partita è aperta. Il quesito depositato da Calderoli è molto creativo, forse un po’ al margine. Collegare la delega approvata per il ridisegno dei collegi alla riforma del taglio dei parlamentari e all’esito del referendum è un azzardo. Difficile fare previsioni sulla sentenza della Consulta, sicuramente sarà un altro pezzo del puzzle che deciderà la durata della legislatura.

Nel frattempo tutti i partiti si sono convertiti al proporzionale.

In questo momento è il formato che più si addice alle esigenze dei partiti. Sui dettagli ci sarà molto da decidere, anche se la notizia del referendum su taglio dei parlamentari ha decisamente allontanato il nodo della legge elettorale.

Il referendum sul tagliapoltrone? Legislatura a rischio. Parola del prof. Lupo

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