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Ieri il governo degli Stati Uniti ha diffuso una nota stampa su un “accumulo militare russo vicino alla linea di confine amministrativa (Abl) della regione georgiana occupata dalla Russia nell’Ossezia meridionale”. L’area è tuttora caldissima dopo i conflitti di carattere territoriale tra Russia e Georgia che l’hanno caratterizzata nel primo decennio del Duemila.

“Chiediamo a tutte le parti di evitare l’escalation e di lavorare attraverso la hotline della missione di monitoraggio europea (Eumm, ndr) e i copresidenti della Ginevra International Discussion (il gruppo di contatto diplomatico, ndr) per risolvere la situazione.  Inoltre, chiediamo alla Federazione Russa di utilizzare tutti i canali disponibili per prevenire un’ulteriore escalation della situazione lungo l’Abl”.

Il comunicato di Washington è arrivato prima via mail ai giornalisti accreditati a ricevere le comunicazioni del dipartimento di Stato, e poi è stato diffuso su Twitter dalla portavoce di Foggy Bottom ripresa infine dal collega al consiglio di Sicurezza nazionale, ed è stato questo spin che ha attirato particolarmente l’attenzione. E va contestualizzato. 

I russi mostrano i muscoli. Spostano mezzi apparentemente per esercitazioni, ma non sarebbe la prima volta che dagli wargame si passa a qualcosa che non è una simulazione. Oppure che gli spostamenti diventano permanenti, una presenza militare che ha lo scoop di creare pressione e deterrenza.

Per capire la dimensione di quel che sta succedendo occorre per esempio tornare indietro di qualche giorno, quando da Vilnius la presidente georgiana, Salome Zurabishvili, ha spiegato che il suo paese è talmente tanto convinto di voler entrare in Ue che sta già muovendosi all’interno di un quadro di normative europee traslate a Tbilisi. Zurabishvili ha messo in chiaro (ancora una volta) che, per la Georgia, l’Europa rappresenta quella dimensione futuribile che da sempre — per un paese incastrato a metà strada con l’Oriente e sotto la costante morsa russa — l’Occidente rappresenta.

È una questione di sfera di influenza. Per Mosca il territorio caucasico è un bacino da dominare, ma le sovranità locali guardano dall’altra parte. “Questo senso di appartenenza a ogni costo, il desiderio di sentirsi parte di un mondo percepito come sicuro, benché lontano, è sempre appartenuto alla Georgia, ma con Salome Zurabishvili si è rafforzato, la voglia è diventata smania, le possibilità intenzioni”, ha scritto Micol Flamini sul Foglio.

Negli atti pratici, allora. Il governo in Georgia, continuando con gli esempi, sta spingendo la costruzione dell’Anaklia Deep Sea Port, che non a caso è stata affidata ad un consorzio di due ditte statunitensi (la Conti International e la SSA Marine), con l’inglese British Wondernet Express e la bulgara G-Star Ltd. Il porto renderà il Paese uno scalo nevralgico tra Asia ed Europa, perché permetterà l’approdo delle navi mercantili sopra le 10mila Tue (ossia i più grandi cargo in circolazione). L’acquisizione di centralità commerciale potrebbe portarsi dietro l’aumento del peso strategico della Georgia nel Mar Nero, ed è una questione difficilmente accettabile per la Russia, che vede in queste dinamiche la possibilità che gli Stati Uniti piazzino una base là. Da ricordare che la Georgia tanto quanto sull’Ue, ha già espresso la volontà di entrare a far parte della Nato. 

Mosca da tempo cerca di mettersi di traverso sul porto di Anaklia. A giugno, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, in una conferenza stampa congiunta col primo ministro georgiano, Mamuka Bakhtadze, ha detto che il futuro porto “migliorerà le relazioni della Georgia con le economie libere e impedirà alla Georgia di cadere in preda all’influenza economica russa o cinese”.

All’interno di questo quadro rientra l’appesantimento della presenza militare russa nel Mar Nero, che si gioca sulla sponda più a sud del bacino, nell’area di Kerč, lo stretto che chiude il Mar d’Azov, recentemente diventato sfogo geopolitico dello scontro Mosca-Kiev. Continuando con il contesto: nei giorni scorsi, il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale americano, John Bolton, mentre era in visita nella capitale ucraina, ha criticato il raddoppiamento del gasdotto Nord Stream, che farebbe entrare direttamente il gas russo in Europa, dalla Germania, passando per il Baltico e tagliando fuori una serie di vie (il Mar Nero, l’Ucraina) che rappresentano un sistema di sicurezza energetica di protezione rispetto ai lineamenti diretti. Bolton ha citato come alternativa il Gnl americano, esportazione su cui gli Usa intendono fare business, ma ha anche avanzato analisi di carattere geostrategico.

Una dipendenza troppo grande da un Paese fornitore influisce sull’indipendenza dei paesi, ha detto spiegando i crucci sul Nord Stream 2, facendo invece una sorta di lobbying pubblica per il nuovo progetto di approvvigionamento attraverso la pipeline transcaspica, che partendo dal Turkmenistan passerebbe in Azerbaigian per poi risalire in Georgia e arrivare a Ezerum, in Turchia, da dove far prendere al gas la rotta dell’Europa centrale.

Davanti a questo, Mosca cerca di creare i presupposti per una difesa pro-attiva. Non vuol perdere il controllo di aree nevralgiche per la propria sopravvivenza, sebbene gli stia sfuggendo la presa.

(Foto: Twitter, @StateDept, Pompeo e Bakhtadze al dipartimento di Stato)

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