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La partita per il dossier energetico nel Mare Nostrum si arricchisce di una serie di incastri tra Libia, Grecia e Turchia. Ankara svolgerà cinque trivellazioni nel Mediterraneo orientale e non farà ulteriori concessioni a Cipro. La nuova minaccia impatta sul dossier energetico a pochi giorni dall’accordo tra Ankara e Tripoli sulla demarcazione marittima che ha provocato un incidente diplomatico tra Libia e Grecia, dal momento che ignora l’isola di Creta, dove però Erdogan ha in programma di inviare una nave da ricerca.

TURCHIA E LIBIA

L’accordo di delimitazione dei confini marittimi della Turchia con la Libia è stato inviato alle Nazioni Unite, come assicurato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan ed è stato ratificato dal parlamento turco e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Quindi è in sostanza valido.

Oltre alla firma materiale dell’accordo, le tensioni sono date dalla postura del governo in occasione dell’Assemblea Nazionale e dall’atteggiamento tutt’altro che remissivo dello stesso Erdogan: due passaggi che hanno prodotto la reazione greca. Al Palazzo di Vetro dell’Onu infatti sono giunte le parole del governo ellenico secondo cui il memorandum libico-turco “è il prodotto del ricatto turco al merlettato governo libico ed è totalmente privo di sostanza”, come detto ufficialmente dal ministro degli Esteri di Atene Nikos Dendias.

RICATTO

“La mossa turca era stata anticipata da luglio e una serie di azioni erano state intraprese per impedirlo – ha detto il ministro greco -. Nonostante ciò, il governo di Tripoli, ricattato dalla Turchia, ovviamente a causa dei progressi compiuti dal generale Haftar negli ultimi giorni, ha firmato il testo”. E ha annunciato di essere pronto a intraprendere tutte quelle misure nel quadro del diritto internazionale e della legge dei mari che dimostreranno l’invalidità del memorandum, aggiungendo di avere già in mano un accordo con Il Cairo per delineare le proprie zone economiche esclusive.

Ma le tensioni non si limitano al botta e risposta tra Atene e Ankara, bensì investono la possibilità molto realistica che assieme alle azioni illegali nella ZEE cipriota, Ankara preveda di inviare una nave da ricerca a Creta e in seguito, dopo la fine delle indagini sismiche, una piattaforma di perforazione.

TENSIONI

Il motivo di tale accelerazione potrebbe essere nel fatto che il governo turco punterebbe da un lato a mettere in cima alla propria scala di priorità il dossier energetico e, di conseguenza, essere pronto a cambiare le proprie posizioni su una serie di scacchieri sensibili come la Libia in base alle convenienze di carattere economico e finanziario.

Atene pur preoccupata per le possibili perforazioni nella zona di Creta, isola greca e quindi di uno Stato membro dell’Ue, ha dalla sua il diritto internazionale e gli accordi già firmati per quelle legittime acque con il player americano ExxonMobil. È in quello stesso fazzoletto di acque che si sta distendendo l’azione provocatoria turca, a cui certamente gli Usa è prevedibile che non opporranno un passivo silenzio.

LIBIA

Sull’accordo c’è da registrare l’opposizione manifestata da parte del governo ad interim della Libia: per questa ragione l’esercito nazionale libico (LNA) controllato dal generale Khalifa Haftar ha invitato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad intervenire immediatamente al fine di contrastare le ambizioni della Turchia in Libia. La tesi dell’uomo forte della Cirenaica è che Erdogan punti a monopolizzare i propri diritti di estrazione nel Mediterraneo orientale. Inoltre secondo alcune fonti diplomatiche, poco dopo la firma dell’accordo con la Libia, la Turchia avrebbe rifornito di missili e droni per uso militare il regime di Tripoli.

REAZIONI

La posizione italiana sul caso turco-libico è stata espressa dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio da Bruxelles, secondo cui quegli accordi “per noi non sono assolutamente legittimi”. E aggiunge che la questione “degli accordi, in particolare sui confini marittimi, rappresenta un ulteriore elemento di instabilità in vista della conferenza di Berlino”.

Dal Cairo invece arriva la condanna da parte del Parlamento egiziano, che con il presidente Ali Abdel-Al ha detto che “l’Egitto non rimarrà con le mani in mano davanti alla minaccia dei suoi interessi”, definendo l’accordo firmato da Fayez al Sarraj e da Tayep Recep Erdogan “folle”.

twitter@FDepalo

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