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All’Italia serve una politica industriale. No ai mini-bot e allo scontro frontale con l’Europa, sì al taglio del cuneo fiscale per i lavoratori. Questo e molto altro sostiene Alessio Rossi, presidente dei Giovani di Confindustria, in una conversazione con Formiche.net.

Presidente Rossi lei insiste da tempo, anche da Rapallo durante l’appuntamento classico dei giovani di Confindustria, su un tema fondamentale: ridare o dare all’Italia una politica industriale. È un obiettivo raggiungibile? E come a suo giudizio?

Possiamo e anzi dobbiamo riuscirci. L’Italia ha iniziato con il Piano industria 4.0 del ministro Calenda a mettere al centro dell’agenda politica la crescita e l’industria. È il primo esempio di politica industriale dopo tanti anni e l’intero sistema produttivo lo ha accolto assai bene, tant’è che gli investimenti privati nelle aziende, soprattutto in quelle piccole e medie, hanno superato i 10 miliardi di euro. Un piano però che è stato con miopia distrutto da questo governo, salvo poi nell’ultimo mese rendersi conto di aver sbagliato. A noi preoccupa il fatto che la politica industriale non sembra più al centro dell’agenda politica, perché invece deve essere una priorità. Altrimenti non riusciremo mai a crescere, perché se facciamo solo politiche assistenziali, fatte per di più a debito, non andremo da nessuna parte. A debito hanno senso misure se hanno a che fare con gli investimenti, con lo sviluppo, con prospettive di crescita, non con la spesa corrente.

Su che cosa bisognerebbe lavorare in vista della manovra di bilancio, dal punto di vista degli imprenditori?

Vorremmo veder scomparire reddito di cittadinanza e quota 100, ma mi pare altamente improbabile. Servirebbe un piano di inclusione per i giovani, che sono stati dimenticati. E con loro sono state dimenticate le aziende. Lo scorso anno abbiamo chiesto all’esecutivo e al Parlamento più giovane della storia repubblicana di fare un patto generazionale. Non c’è stato né il patto generazionale né altro. Chiediamo di ripartire proprio dai giovani facendo un piano di inclusione serio, con una forte decontribuzione come aveva fatto il precedente governo Renzi con il jobs act. Decontribuzione strutturale per dare un  segnale a tutti i giovani, affinché possano credere nell’Italia, perché noi abbiamo la disoccupazione giovanile più alta d’Europa e questo non è più accettabile. Chiediamo un taglio forte del cuneo fiscale il cui vantaggio vada ai lavoratori, per dare loro un netto in busta paga più alto.

C’è un problema quindi di interlocutori. Questi discorsi sono da porre adesso perché la manovra di bilancio sarà dibattuta da settembre in poi.

È questo il tema. Non c’è stato sin qui un confronto chiaro anzi non c’è stato proprio un confronto. Abbiamo avuto un anno di campagna elettorale continua.  Il governo ha cercato continui nemici da combattere e questo ha reso tutto più difficile. Dobbiamo affrontare il tema della politica industriale a 360 gradi. Vorremmo farlo con il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico però abbiamo difficoltà perché al momento le istituzioni hanno dimostrato di non volersi confrontare.

La prova è che i provvedimenti messi in campo nulla hanno a che fare con la crescita per stessa ammissione del governo, che stima un modesto +0,1-0,2. Solo nelle ultime settimane si coglie qualche segnale di presa di coscienza, anche se per ora soltanto a parole. Già, perché nei fatti il “decreto crescita” è fermo in Parlamento e di crescita ce ne è poca. Vale anche per lo “sblocca cantieri”, che così com’è non sbloccherà nessun cantiere.

Nei giorni di Rapallo il governo è stato rappresentato da Giancarlo Giorgetti, anche Salvini nelle ultime settimane ha insistito molto che bisogna darci una mossa. C’è quindi qualche segnale nelle parole di Giorgetti che vi fa essere più ottimisti che in passato? O il voto alle europee non ha cambiato la situazione?

Giorgetti è sempre stata una persona responsabile. Ma le parole rassicuranti non bastano, perché la situazione al governo è ancora quella che è. Ci fa bene sperare il risultato positivo della Lega alle europee perché adesso è sostanzialmente l’azionista di maggioranza dell’esecutivo, non più il M5S che dice di no su tutto, dalla Tav alle grandi opere. La Lega adesso può alzare la voce e alzare la posta. Però penso anche che sono due forze politiche molto legate tra loro, non solo dal contratto di governo ma anche da una volontà di continuare a governare insieme. Quindi resto preoccupato, perché anche Salvini avrebbe dovuto imporsi di più, penso ad esempio sul sì alla Tav.

Che interesse c’è da parte del mondo dell’impresa verso gli strumenti di rivoluzione fiscale come la flat tax? Se il governo andasse in quella direzione sareste favorevoli?

Innanzitutto speriamo di vedere un progetto di questa flat tax perché dopo tanti annunci, ancora non si è visto nulla. La flat tax le imprese già ce l’hanno e si chiama Ires. In questo momento non vorremmo vedere provvedimenti a debito che non abbiano nulla a che fare con la crescita. È normale che è meglio pagare meno tasse, però in questo momento le priorità sono altre. Mettere più risorse nette in tasca ai lavoratori, creare posti di lavoro, aiutare lo sviluppo di nuove imprese. Queste sono le priorità.

Non certo di abbassare di un punto l’aliquota eliminando poi tutto il sistema delle detrazioni e deduzioni. È stata fatta sin qui una flat tax per le partite Iva, per i professionisti, per una piccolissima parte di artigiani, non certo per le imprese perché al di sotto di 65mila euro nessuno si può permettere un collaboratore. Noi vorremmo una riorganizzazione del sistema fiscale e tributario complessiva e non interventi spot.

Concludiamo con i temi europei. La prima domanda riguarda le Pubbliche amministrazioni italiane. Hanno debiti tra i 30 ai 50 miliardi di euro, a seconda delle fonti, verso il mondo delle imprese. Si potrebbero pagare con mini-bot questi debiti, dice la Lega.

Possiamo pagarli con gli strumenti che ci sono. Non con soldi del Monopoli. Le imprese che sono creditrici nei confronti dello Stato da tanti anni e per tanti soldi vogliono essere pagate. Con i mini-bot potrebbero pagare i loro stipendi. I mini-bot, come ha detto Draghi, o sono valuta o sono altro debito: nessuna delle due ipotesi è una soluzione al problema. Come siamo obiettivi e responsabili con la flat tax (farebbe comodo a tutti pagare meno tasse), sosteniamo che non possiamo permetterci di pagare le imprese facendo ulteriore debito. Vedo una grande difficoltà soprattutto perché con la procedura d’infrazione alle porte non possiamo permetterci di avere uno scontro con l’Unione europea, non è utile avere nemica l’Ue e non vogliamo vedere all’angolo l’Italia. Ci sono scelte molto importanti da fare, come la nomina dei commissari e dei dirigenti apicali delle istituzioni europee: non possiamo barattarle per qualche decimale di flessibilità.

Per le imprese italiane l’euro è un peso o un aiuto?

Sicuramente un aiuto. Lo è stato, lo è e lo sarà.

Secondo lei Giorgetti potrebbe essere un buon commissario europeo?

Sì, potrebbe esserlo. Ma ricordiamoci che abbiamo bisogno di persone responsabili e preparate anche qui a governare.

 

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