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“La crisi sarà trasparente”. Giuseppe Conte lo ha detto senza girarci attorno. Niente manovre di palazzo, niente alleanze intra moenia dell’ultimo minuto per scongiurare le urne. Vuole che tutto avvenga sotto la luce del sole, per non dare alibi a Matteo Salvini, il vicepremier che ha calato la scure sul suo esecutivo e contro il quale sta scrivendo un discorso durissimo da recitare di fronte il Senato a fine agosto.

La determinazione del premier ha rotto gli indugi dentro al Movimento Cinque Stelle, che ora rivendica di essere il “suo” partito. In questi giorni si sono rincorse voci su una tregua armata fra pentastellati e l’ala renziana dei dem per anticipare il voto della riforma sul taglio dei parlamentari e rimandare all’anno venturo la fine della legislatura, con un esecutivo di garanzia. Smentite da Matteo Renzi, sono state accantonate anche dalla dirigenza grillina, riunita ieri in una seduta fiume di sei ore a Roma attorno a Davide Casaleggio, Luigi Di Maio, Roberto Fico e Alessandro Di Battista. Un bagno elettorale, dicono in coro, è l’unica strada percorribile. Resta da capire come, e con chi.

L’era Di Maio è giunta al capolinea assieme al suo secondo, definitivo mandato elettorale. È il momento di Di Battista, ha saltato un turno e ora “tocca a lui”, è il ragionamento della dirigenza. Poi c’è Conte, il premier uscente che due sere fa ha rotto gli indugi con un punto stampa di fuoco contro Salvini, mostrando qualità di leadership politica che poco si addicono al ruolo di avvocato e garante. Tirato per la giacchetta da gran parte della squadra parlamentare grillina, Conte ci sta facendo un pensiero. I sondaggi lo indicano come la figura politica più amata dagli italiani, anche più del “Capitano”. Piepoli lo dà al 50% di gradimento, con uno stacco di 5 punti su Salvini. Demos addirittura al 64%, con un allungo di 10 sul leghista. Va da sé che il gradimento del leader non è abbastanza. Anche Mario Monti, allo scadere della sua esperienza di governo, sfrecciava altissimo nei sondaggi, e così Paolo Gentiloni. Le urne hanno ridimensionato le aspettative.

Conte però potrebbe rivelarsi un’eccezione. In un anno si è guadagnato la fedeltà delle truppe grilline, il rispetto degli avversari, l’affetto della base, e una simpatia trasversale nel mondo moderato e cattolico. Di ora in ora cresce la fronda nel Movimento che indica nel professore pugliese il candidato premier ideale per mettere alle corde Salvini. Lo si vorrebbe affiancare a Di Battista, regista indiscusso delle piazze grilline e vero interprete dell’anima movimentista.

L’idea di un “tandem” elettorale però rischia di non essere vincente. È vero, il giovane leader romano ha una presa notevole sulla base e può ripescare ex elettori nel calderone degli astenuti. Ma resta una larga e trasversale fetta di elettorato moderato, di provenienza dem, forzista, grillina, che non si affiderebbe al pasdaran di Casaleggio. Chi non vuole un monocolore Salvini, magari affiancato dalla destra di Giorgia Meloni, non cerca un antidoto nell’estremismo di Di Battista.

Conte è l’unica carta che il Movimento può giocare contro Salvini. Piace a sinistra, al centro e al centrodestra, e a differenza dei suoi predecessori non parte da zero, ha dalla sua una base elettorale pronta a seguirlo. Forse meno “blindata”, ma certamente molto più ampia del popolo del Vaffa day pronto a rientrare nei ranghi con Di Battista candidato premier.

Lo strappo brusco e improvviso di Salvini mette la dirigenza pentastellata di fronte a un bivio. Per un anno Di Maio ha strizzato l’occhio un giorno all’elettorato moderato, il giorno dopo al nucleo (minoritario) movimentista, ideologico, estremista. Il risultato è stato perdere consensi dall’una e l’altra parte. Non è più il momento delle scelte a metà.

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