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Per Giovanni Guzzetta, avvocato cassazionista e professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata”, in altri tempi un partito avrebbe semplicemente ritirato la propria delegazione dal governo e il premier si sarebbe dimesso. Oggi invece la crisi del governo gialloverde va in modo diverso con una parlamentarizzazione che potrebbe nascondere delle insidie.

Verso un governo di garanzia per andare ad elezioni in autunno?

Governo di garanzia è un’espressione politico-giornalistica. Può servire a giustificare politicamente delle scelte costituzionali. Ma la legittimità di queste scelte si giustifica comunque sulla base della Costituzione, non dell’etichetta che gli si affibbia. Diciamo così: perché un governo nasca, qualsiasi governo, è necessario che nella sua formazione ci sia una ragionevole probabilità che ottenga la fiducia. E tale governo può operare pienamente solo se la ottiene. Questa bussola deve orientare le scelte di tutti gli attori costituzionali. Un governo che nascesse con la certezza di non ottenere la fiducia non sarebbe un governo di garanzia sarebbe un governo che elude lo spirito della Costituzione.

Ci sono stati nel passato casi di governi che non abbiano ottenuto la fiducia iniziale…

Governi che poi hanno “gestito” le elezioni malgrado la maggioranza del Parlamento fosse contraria. Quegli episodi sono stati molto criticati in dottrina proprio perché si temeva che si trattasse di operazioni fatte a tavolino, per consentire di gestire le elezioni a chi non aveva però sufficiente legittimazione politica. Nessuno, però, nemmeno allora, immaginò, sul piano istituzionale, di giustificare queste operazioni con l’espressione “governi di garanzia”. In Italia, insomma, non esiste una norma equivalente a quella dell’art. 37 della Costituzione greca che prevede, in caso di scioglimento, la nomina di un governo presieduto dal presidente di una delle Supreme magistrature dello Stato, amministrativa, ordinaria o contabile. Si potrebbe inserire, ma bisognerebbe cambiare la Costituzione.

Salvini ha chiesto agli italiani pieni poteri, ma nessuno ne ha nel nostro impianto costituzionale. Forse medita una riforma di stampo presidenzialistico?

Nessun sistema presidenziale prevede pieni poteri per il Capo dello Stato, così come nessun sistema parlamentare prevede pieni poteri per il Parlamento. Mi pare evidente che Salvini evocasse, con quell’espressione, la fine della condivisione programmatica del governo di grande coalizione (quello gialloverde). Oggi il leader della Lega vuole chiaramente separarsi dal suo ex-alleato e scommette sulla possibilità di ottenere una maggioranza autosufficiente alle prossime elezioni.

Una primizia la crisi in agosto: un problema richiamare dalle ferie i quasi mille parlamentari?

Ma ci mancherebbe. Il Parlamento e il governo sono organi continui. Devono potersi riunire in qualsiasi momento. D’altronde la Costituzione prevede la riunione delle Camere entro 5 giorni quando un decreto legge viene presento al Parlamento per la conversione. E l’art. 77 precisa che si riuniscono, anche se sono sciolte; figuriamoci se non lo sono nemmeno. Le ferie non sono un istituto costituzionale. I parlamentari svolgono un munus publicum. Sono certo che potranno recuperarle.

Il Colle ufficialmente non ostacola le urne, ma come farle convivere con le clausole di salvaguardia e con la legge di Stabilità?

Questo è un delicato problema politico, non costituzionale. Sono certo che il Presidente della Repubblica riuscirà ad assicurare il percorso meno traumatico possibile.

Perché c’è stato bisogno che il premier chiedesse esplicitamente a Salvini di “venire in Parlamento a spiegare”?

Non era una necessità, è stata una scelta. Nella Prima Repubblica dopo una dichiarazione come quella di Salvini un premier si sarebbe dimesso. Da un certo punto in poi e soprattutto nella seconda Repubblica è prevalsa correttamente l’idea che le crisi politiche andassero “rappresentate” ai rappresentanti e loro tramite al paese nella sede parlamentare. Del resto mi pare che anche la Lega segua questo approccio parlamentarizzando la crisi con una mozione di sfiducia. In altri tempi un partito avrebbe semplicemente ritirato la propria delegazione dal governo.

Il fattore tempo sarà determinante per decrittare i passi di questa crisi?

Il fattore tempo è sempre fondamentale in politica. Processi istituzionali perfetti che arrivano tardi sono peggio di quelli, magari più imperfetti, ma tempestivi. Purtroppo abbiamo istituzioni arcaiche e processi alquanto macchinosi… Ed sempre tutto molto imprevedibile, non solo nei tempi.

twitter@FDepalo

 

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