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La risoluzione per avviare ufficialmente l’impeachment contro Donald Trump è stata approvato dalla Camera statunitense. L’assemblea, guidata dai Democratici dopo le elezioni di metà mandato del novembre scorso, ha votato con 232 favorevoli e 196 contrari. Come fanno notare i media politici americani, quanto accaduto è una conferma sulla stabilità della maggioranza che chiede la messa in stato d’accusa della presidenza, colpevole di aver usato un asset di politica estera – la fornitura di armi all’Ucraina per difendersi dall’aggressione russa nel Donbass – per un interesse personale, ovvero chiedere a Kiev di trovare del “dirt“, qualcosa di sporco, sul conto di Joe Biden, frontrunner Dem, e di suoi figlio Hunter, consigliere di amministrazione di una società del gas ucraina.

Il voto di oggi era stato chiesto dai Repubblicani per formalizzare la procedura, critica per il fatto che l’intera assise ancora non l’avesse mai avallata. Sia i passaggi metodologici, sia le audizioni all’interno della Commissioni camerali impegnate già da cinque settimane nelle indagini intra-parlamentari. L’impeachment è una procedura politica, si svolge tramite alcuni Committee della Camera, per poi passare al voto in aula. Da lì deve superare la maggioranza articolata al Senato, i tre quarti, prima di essere formalizzato. Al momento è molto improbabile che questo succeda, visto che il partito di Trump, quello repubblicano, controlla la camera alta e non sembra intenzionato a mollare il presidente nell’anno delle elezioni di rinnovo del mandato.

I Democratici sostengono che questo voto accelererà l’indagine e fornirà loro più strumenti per condurre le audizioni. Testimonianze fondamentali per mettere insieme i pezzi e permettere ai legislatori di entrambi i fronti di avere un quadro chiaro su quello che è realmente successo. Ossia, comprendere realmente se Trump ha proposto al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di scambiare gli aiuti militari con l’avvio di un’indagine giudiziaria per verificare se Biden aveva fatto in modo di de-escalare il processo di corruzione a cui la ditta di suo figlio era stata sottoposta, e di cercare un fantomatico server contente mail compromettenti nascoste da Hillary Clinton (una vicenda che non ha fondamenti probatori se non alcune teorie complottiste diffuse dall’alt-right americana).

Una grossa evoluzione nelle inchieste parlamentari potrebbe arrivare se i Democratici otterranno la testimonianza di John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza nazionale dimessosi per incongruenze con la linea trumpiana. Secondo alcune ricostruzioni dei media, Bolton avrebbe messo in guardia alcuni diplomatici americani sulle volontà scambiste di Trump, e contestandone il tradimento ai valori americani lo avrebbe criticato fino alle dimissioni. Sarebbe aggiudicarsi un jackpot per i Dem: Axios scrive che l’ex consigliere non testimonierà se non costretto (ossia sotto subpoena), ma se dovesse parlare non si tratterrà. E Bolton, un falco repubblicano, è considerato un testimone molto informato che potrebbe cambiare il corso della storia.

C’è però un dato che dimostra come le volontà popolari non collimino perfettamente con l’azione politica democratica. Un sondaggio diffuso ieri da N.Y. Times Upshot/Siena College ha rilevato che la maggioranza degli elettori in ciascuno dei sei battleground state, quelli che determinano le sorti delle presidenziali (Arizona, Florida, Michigan, Carolina del Nord, Pennsylvania e Wisconsin), si oppongono all’impeachement e alla rimozione di Trump.

Il presidente ha reagito dal suo profilo Twitter personale: “The Greatest Witch Hunt In American History!”. Lunedì, in una lettera inviata ai colleghi democratici alla Camera, la speaker Nancy Pelosi ha scritto che la risoluzione “eliminerà ogni dubbio sul fatto che l’amministrazione Trump possa trattenere documenti, impedire la testimonianza dei testimoni, ignorare le citazioni debitamente autorizzate o continuare a ostacolare la Camera dei rappresentanti”.

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