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Ci volevano 67 voti per superare il veto di Donald Trump al blocco delle vendite militari all’Arabia Saudita approvato lo scorso mese dal Congresso. E invece le tre votazioni al Senato americano hanno visto raggiungere al massimo quota 46, con una buona dose di astenuti e un relativo ricompattamento dei repubblicani sulla linea del presidente. Restano le critiche al ricorso al veto, considerato da taluni un superamento delle prerogative parlamentari.

LA LINEA DEL PRESIDENTE

Eppure, il tycoon incassa una vittoria che va al di là delle semplici vendite militari (comunque cospicue, considerando un valore complessivo di 8,1 miliardi di dollari). A prevalere è la linea strategica in Medio Oriente, la stessa che punta a rinsaldare i rapporti con Riad in una chiara ottica anti-iraniana. In questo senso, sul voto a Capitol Hill hanno influito non poco i giorni caldi nello stretto di Hormuz, l’incremento dell’assertività di Teheran e i continui rischi di escalation.

IL RUOLO DEL CONGRESSO

A maggio la Casa Bianca aveva annunciato ulteriori vendite (22 in tutto) a Riad per un totale di 8,1 miliardi di dollari, per lo più in munizionamento destinato a diversi assetti e bombe a guida laser. Erano rivolte anche agli altri Paesi della coalizione a guida saudita, a partire dagli Emirati Arabi. L’autorizzazione era arrivata da Trump con l’imposizione di una notifica di emergenza sulla normativa relativa al controllo delle esportazioni, spiegata dall’amministrazione con l’esigenza di accelerare, in ottica anti-iraniana, il supporto agli alleati. Il 20 giugno è però arrivato lo stop impresso dal Senato, seguito nel giro di un mese da quello della Camera, entrambi sulle tre risoluzioni in cui le varie licenze di esportazioni sono state spacchettate.

IL DIBATTITO POLITICO

In pochi giorni, come previsto e annunciato, il presidente Trump ha posto il veto, il secondo sul tema dopo quello di aprile contro una simile iniziativa legislativa che prevedeva di tagliare l’assistenza militare all’Arabia Saudita per il coinvolgimento nella guerra in Yemen. D’altra parte, l’amministrazione ha dimostrato di non voler rinunciare in alcun modo a uno dei pilastri della nuova postura mediorientale, divenuto ancor più rilevante con l’escalation registrata nelle passate settimane con Teheran. E se questo ha permesso al partito repubblicano di ritrovare compattezza aderendo alla linea del presidente e del segretario di Stato Mike Pompeo, vero artefice dell’apposizione della notifica di emergenza sulle vendite, non ha però convinto i democratici ad abbandonare le proprie posizioni, mantenendo un’opposizione che persiste dall’uccisione, lo scorso ottobre, del giornalista Jamal Khashoggi.

LE CRITICHE

Da quella vicenda, l’attenzione dell’opposizione, in linea con quanto avvenuto anche in diversi Paesi europei (Italia compresa), si è spostata sulla guerra in Yemen, con la critica forte alla condotta saudita che avrebbe recato enormi danni alle popolazioni civili. Su questo è intervenuto secco Bernie Sanders, accusando il presidente di aver posto il veto solo al fine di agevolare i colossi della difesa a stelle e strisce. Il riferimento del democratico è al recente report del think-tank no profit Center for international policy (Cip), che ricostruisce le vendite Usa all’Arabia Saudita degli ultimi dieci anni, notando come la fetta maggiore delle commesse sia andata a Raytheon (in testa per la produzione di bombe), Boeing (con i velivoli F-15), Lockheed Martin (con gli aerei da trasporto C-130) e General Dynamics per la motoristica. Eppure, l’accusa potrebbe facilmente essere accolta da Trump, che non ha mai fatto segreto del supporto all’industria della difesa e che anzi la considera utile strumento per il consolidamento dei rapporti strategici. Proprio il caso dell’Arabia Saudita ne è un esempio evidente.

LE RAGIONI DELLA CASA BIANCA

Oltre l’industria però c’è di più, come scritto dalle motivazioni al veto firmate dal presidente. Prima di tutto, “oltre a influire negativamente sulle nostre relazioni bilaterali con il Regno dell’Arabia Saudita, la risoluzione (di stop alle vendite, ndr) ostacolerebbe la nostra capacità di sostenere e modellare le attività di cooperazione in materia di sicurezza critica e metterebbe significativamente in difficoltà l’interoperabilità tra le nostre nazioni”. Poi, c’è il rapporto con gli altri Paesi, quelli che partecipano alla produzione degli assetti venduti ad Arabia Saudita ed Emirati. Il blocco, ha scritto il presidente, “influenzerebbe negativamente i nostri alleati della Nato e l’industria della difesa transatlantica”. Il riferimento è a Regno Unito, Francia, Spagna e Italia, Stati in cui si colloca parte della filiera produttiva. Soprattutto c’è però la linea dura nei confronti dell’Iran. Riad, spiega il presidente, “è un baluardo contro le attività maligne dell’Iran e i suoi proxy regionali, e il divieto delle licenze predisposto dalla risoluzione impedirebbe di rafforzare la capacità dell’Arabia Saudita di dissuadere e difendere da queste minacce”.

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