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Quella del taglio ai fondi in manovra per Radio Radicale sembra un’ossessione dei Cinque Stelle e di Luigi Di Maio. Ci provarono l’anno scorso e stavano quasi per riuscirci, fino a quando Matteo Salvini bloccò sostanzialmente l’operazione. Ci riprovano quest’anno, con ancora minori probabilità di successo (direi inesistenti).

Non vale la pena di indignarsi più di tanto, e portare sul tavolo le mille ragioni che dovrebbero dettare al legislatore di non porsi nemmeno il problema della sopravvivenza (perché di questo si tratta) della storica radio. Né credo che sia opportuno tirar fuori, come stanno facendo molti commentatori in queste ore, la solita retorica dell’attacco alla libertà, alla democrazia e all’informazione. Forse è più produttivo cercare di capire la ratio che muove i Cinque Stelle in questo caso, anche per comprendere qualcosa in più di loro e forse alla fine anche dei loro recenti insuccessi elettorali.

Prima di tutto, la loro concezione non solo postideologica della politica ma anche postideale: la politica, ridotta al suo grado zero, si fa per singole “uscite”, non a partire da un coerente per quanto imperfetto disegno di fondo. L’“uscita” ha allora uno scopo più dimostrativo, simbolico, comunicativo che sostanziale: “Poiché le radio private succhiano i soldi dello Stato, puniamone una a caso, possibilmente una delle più conosciute e sentite, e mandiamo un messaggio”. Perché poi iniziare da una qualsiasi, guarda caso una delle poche che a fronte dei finanziamenti offre molto più di quanto dà, in assenza fra l’altro di un servizio pubblico all’altezza, può sembrare irrazionale solo agli occhi di chi vive ancora nel mondo analogico.

Chi al contrario, per dirla con una antitesi delineata qualche giorno fa da Luciano Violante sul Corriere della Sera, vive nel mondo digitale, e quindi pensa in modo binario (sì o no), l’“uscita” è molto adatta per catalizzare un consenso, seppur velleitario e momentaneo, e soprattutto per dar vita a un voto sulla piattaforma online. Il quale è stato effettivamente sollecitato dal Blog delle Stelle, in un omaggio più che alla democrazia diretta, come vien detto, io direi, con una punta di cattiveria, alla dicotomizzazione del pensiero.

Ancora più significativa è poi però, nella nostra ottica di comprensione, l’affermazione di Di Maio: “Invece di dare i soldi a Radio Radicale, diamo la cifra risparmiata ai terremotati”. Che c’entri poi il capitolo di spesa per questi ultimi con quello dell’informazione, non è dato sapere. Ma già solo l’idea di togliere a presunti “forti” per dare ai “deboli” e bisognosi, conferma l’idea di una politica sempre più “a pezzettini” e senza una visione d’insieme e tutta propaganda.

Il gioco sembrerebbe funzionare a meraviglia, ma è un illusione di corto raggio: sia perché gli elettori-cittadini non sono sprovveduti; sia perché prima o poi se non aiuti a migliorare le loro condizioni reali e generali di vita, essi ti presentano il conto. Poiché per i grillini il conto è sempre più salato, non sarebbe il caso, invece di perseverare, di dar corpo finalmente a una vera (questa volta) “rivoluzione culturale”. Al loro interno, voglio dire.

All’assalto di Radio Radicale, ma senza una ratio. Il commento di Ocone

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