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“Non ho nessun problema con i tagli produttivi”, ha detto il ministro iraniano del Petrolio, Bijan Zanganeh, ai giornalisti che ieri lo aspettavano all’ingresso della sala che ospitava il vertice dell’Opec/Opec+ a Vienna. Politico esperto Zanganeh, da trentadue anni frequenta i gabinetti ministeriali della Repubblica islamica, non ha perso però l’occasione del palcoscenico internazionale per lanciare subito una frecciata polemica: “Tuttavia – ha aggiunto – con questo tipo di processi l’Opec morirà”.

L’ACCORDO RIAD-MOSCA

L’iraniano si riferisce al ruolo che l’organizzazione ha assunto plasticamente nel vertice che si chiude oggi: pura ratificazione di un accordo che era già stato deciso, anche nei termini generali, da Russia e Arabia Saudita. Le produzioni resteranno lente per evitare che i prezzi scivolino troppo in basso per almeno nove mesi: l’appuntamento per nuove decisioni al marzo 2020 l’avevano fissato, in un faccia a faccia durante il G20 di Osaka – chiusosi sabato – il russo Vladimir Putin, rappresentante del più grande produttore al mondo al di fuori del cartello, e l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, policy maker nel regno dell’oro nero. È il nuovo meccanismo dell’Opec+, spiegato in rimessa diretta all’iraniano dal collega saudita Khalid Al Falih: “L’Opec è più vitale che mai. Rispettiamo ogni membro, ma il fatto è che l’Arabia Saudita e la Russia sono i maggiori produttori e che da solo [l’Opec] non ce la fa più a riequilibrare il mercato del petrolio”.

LE PREOCCUPAZIONI DI TEHERAN

Quando il ministro di Teheran parla, denuncia un’irrequietezza che occupa due livelli: quello dei nemici, e quello dei teorici alleati. I primi, i sauditi, con la decisione di tenere bassi gli output petroliferi, tra i vari obiettivi colpiscono anche Teheran – aspetto che, contrariamente al rialzo dei prezzi consequenziale al rallentamento delle produzioni, piace a Washington. La Repubblica islamica è in una fase delicatissima, nuovamente semi-isolata sotto al peso delle sanzioni americane che hanno smontato l’architettura del Jcpoa, l’accordo del 2015. Un numero per capirci: prima che Donald Trump decidesse, a maggio 2018, di uscire dall’intesa che ha congelato il programma nucleare di Teheran, le produzioni iraniane viaggiavano attorno ai due milioni di barili al giorno. Ora, con gli Usa fuori e con gli altri Paesi che temono di subire le ripercussioni delle sanzioni secondarie americane, l’output è fermo a 300mila barili giornalieri. Un crollo pazzesco: Teheran vorrebbe tornare a vendere, e se le produzioni Opec potessero tornare a crescere si creerebbe la possibilità che l’organizzazione giochi spazi politici pro-Iran; sebbene va notato che i tagli produttivi Opec decisi lo scorso anno (sempre da Putin e MbS) non coinvolgono l’Iran e la Libia.

Sul campo dei partner, il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak, ha avuto un lungo faccia a faccia con Zanganeh prima del vertice e, come ha raccontato l’iraniano, s’è parlato anche di export petrolifero, che per Teheran è il primo asset di entrate statali – tagliato, mette in difficoltà l’economia, crea problemi al governo che ha affrontato il Jcpoa con il pragmatismo della crescita economica, favorisce le posizioni dei reazionari che l’accordo non lo volevano. Novak e Zanganeh hanno parlato anche di come aggirare le sanzioni americane per esportare greggio, “ma non posso dire di più, perché se parlo apro spazi per qualche nuova misura contro la Russia o contro l’Iran”, ha detto l’iraniano.

I DUBBI DEGLI ALTRI

Teheran vuole che i Paesi partner nell’accordo del 2015 (Ue, Russia e Cina) trovino meccanismi di protezione dagli Stati Uniti con cui garantire il business. È davanti a questa poca efficacia nella reazione degli altri contraenti all’uscita americana (l’efficacia è poca perché l’America è molto forte) che l’Iran ha cercato di stressare le situazioni provando per esempio a rischiare con l’aumento – in modo reversibile e tecnicamente consentito dal Jcpoa – delle quantità di uranio arricchito permesse dall’accordo. Cerca una qualche leva.

Ed è sotto quest’ottica che vanno lette le dichiarazioni di Zanganeh a proposito dell’Opec. Teheran cerca di mettere in allerta gli altri membri dell’organizzazione provando a mostrare come l’allineamento Riad-Mosca non sia positivo per i produttori mediorientali. Un effetto c’è stato: la ratificazione dell’accordo Putin-MbS è stata leggermente più contorta del previsto, con alcuni Paesi – come l’Iraq o il Venezuela, più vicini a Teheran – che hanno storto un po’ il naso sul meccanismo dietro alla decisione. Altrettanto l’Iran fa in direzione Russia, che teoricamente è un partner/alleato e su questo cerca sponda. Ma Mosca ha dimostrato più volte di svincolarsi dalla Repubblica islamica seguendo il pragmatismo degli interessi personali: per esempio, due notti fa i russi hanno osservato aerei israeliani martellare postazioni iraniane in Siria, ma hanno chiuso più di un occhio.

(Foto: Kremlin-ru, Putin e Mbs al G20)

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