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È stato uno dei più convinti sostenitori della stagione renziana. Nell’ex premier di Rignano sull’Arno ha sempre visto il portavoce ideale della sinistra liberale in Italia. Oggi Stefano Ceccanti, deputato dem, professore di diritto costituzionale all’università La Sapienza, dice no. La scissione è un errore, confida deluso a Formiche.net, in Italia non c’è spazio per un nuovo esperimento alla Macron. Niente illusioni: lo strappo darà vita a “un partito minoritario”.

Ceccanti, Renzi dice che la scissione rafforza il governo. È così?

Può darsi che l’intento sia rafforzare il governo. A me Renzi è sembrato molto contraddittorio con quanto ha fatto nel mese precedente. Nonostante in questa fase facesse formalmente parte di una minoranza all’interno del Pd è stato in grado di ottenere una posizione egemone e di contribuire in modo decisivo a stringere un’alleanza non subalterna con il Movimento Cinque Stelle.

E adesso?

La scissione nasce dal presupposto opposto. Quello secondo cui il Pd è un partito non contendibile guidato da una maggioranza solidissima e che il destino della sinistra liberale sia a priori minoritario all’interno del partito.

Al Nazareno c’è chi parla di “errore storico”.

Abbiamo tutti accettato una collaborazione difficilissima con i Cinque Stelle e tutti abbiamo interesse al proseguimento della legislatura. Frammentare i soggetti politici che sostengono il governo non aiuta certo a stabilizzarlo nel medio-lungo periodo.

Renzi denuncia un partito diviso in correnti. Su questo ha ragione?

Può essere. Il passaggio della crisi aveva tuttavia dimostrato che anche un partito diviso in correnti, momentaneamente guidato da una maggioranza sbilanciata sulla sinistra conservatrice, può essere oggetto di un’iniziativa politica nuova, che muova nella giusta direzione.

Sembra che l’ex premier abbia in mente un partito alla Macron. In Italia può funzionare?

Ho sempre avuto grande simpatia per l’operazione di Macron. Ma En Marche è nato come partito a vocazione maggioritaria in un sistema solitamente impiantato su due elezioni maggioritarie. L’iniziativa di Renzi dà invece vita a un partito minoritario. Ho seri dubbi che un movimento che si aggira intorno al 4-5% dei consensi possa reclamare l’egemonia della sinistra liberale.

Temete che Renzi abbia in mano l’interruttore del governo?

Non penso che Renzi voglia far cadere il governo. Può essere davvero che attrarre i parlamentari antisalviniani dell’area centrista aiuti a stabilizzare la maggioranza del governo al Senato. Per farlo però non c’era bisogno di una scissione, bastava un’operazione parlamentare.

Escludere il Pd toscano dall’esecutivo è stato un errore di Zingaretti?

Sì, è stato un errore. Non entro nelle polemiche, ma parlano i fatti. Il Pd toscano è l’unico che alle elezioni europee è arrivato primo scavalcando la Lega, negargli una rappresentanza nel governo in vista delle regionali non è stata una mossa previdente.

Dopo tante battaglie per il maggioritario Renzi ha dato il suo ok al proporzionale. Lei è dello stesso avviso?

Noi siamo già in un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento bassa, il 3%, che non disincentiva minimamente le scissioni. È pensabile, senza voler sfasciare questa maggioranza, dare avvio a un’iniziativa per il maggioritario e alzare la soglia di sbarramento? Credo sia una domanda meritevole di una discussione laica.

La giravolta di Renzi sul proporzionale c’entra col nuovo partito?

Le forze politiche che nascono da scissioni, nonostante le velleità iniziali, puntano a tenere bassa la soglia di sbarramento. Tutte le scissioni consumatesi negli ultimi anni hanno seguito lo stesso iter. Sulla soglia dell’entusiasmo dei primi sondaggi le nuove formazioni, penso a Fini ma anche a D’Alema con LeU, dichiaravano di puntare alla doppia cifra. Man mano che i sondaggi si sono sgonfiati hanno iniziato a tifare per sistemi proporzionali puri.

Luigi Di Maio ha proposto un’alleanza civica Pd-M5S alle regionali in Umbria. La formula convince?

Abbiamo stretto a livello nazionale una coalizione emergenziale, nata da una situazione di necessità. Trasformarla in una alleanza più organica è una scommessa, forse anche lodevole, ma l’ultima parola spetta alle diverse realtà territoriali chiamate in causa.

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