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Il contratto di governo – ormai lo sanno tutti – non è né il risultato di un incontro tra i punti che avevano in comune i programmi elettorali della Lega e del Movimento 5 Stelle (M5S) né una mediazione tra i due programmi ma una sommatoria di quanto promesso agli elettori degli uni e degli altri. In effetti, nel primo anno di governo non è stato chiaro quale fosse l’indirizzo di fondo dell’esecutivo. Ora, il chiarimento viene in un certo qual modo forzato dalla necessità di rispondere alle autorità europee, in primo luogo alla Commissione, che hanno manifestato l’intenzione di applicare una procedura per debito eccessivo nei confronti dell’Italia. Le prime reazioni sono state emotive, e da esse paiono essersi dissociati sia il presidente del Consiglio sia il ministro dell’Economia e delle Finanze. Nel contempo, i lettori di giornali ed i telespettatori hanno cominciato ad avere un barlume delle linee di politica economica sottostanti le dichiarazioni dei leader. Da un lato, il quadro si chiarisce. Da un altro, diventa più confuso.

Si chiarisce nel senso che si intravedono cenni di radici collegate alla teoria ed alla politica economica. Diventa più confuso perché questi cenni riguardano scuole od approcci che non stanno bene insieme e che vengono masticate piuttosto male ed in modo approssimativo dalle forze politiche e dai loro esponenti.
Andiamo con ordine. Per semplificare, si potrebbe dire che, da una parte, si vede qualche lettura di dispense universitarie che riassumono il pensiero di John Maynard Keynes, mentre, da un altro, si avverte un’infarinatura, peraltro molto lacunosa, del pensiero di Alan Walters. Tutti conoscono il nome di Keynes. Pochi quello di Alan Walters perché è sempre stato di carattere riservato ed i suoi libri più noti riguardano l’econometria.

CHI ERA ALAN WALTERS

Alan Walters, poi divenuto Sir Alan Walters, è stato il chief economic advisor di Margareth Thatcher dal 1979 al 1989, quando lasciò Downing Street dopo una furibonda lite con il Cancelliere dello Scacchiere, Nigel Lawson (costretto anche lui a fare i bagagli). Negli anni di Downing Street, teneva un profilo molto basso; il suo incarico era a compenso zero; il suo ufficio era stato ricavato in una toilette mettendo una sedia ed un tavolo in quello che era il wc. Entrò successivamente in politica, fondando un partito liberal-liberista e diventandone il leader. L’esperienza politica non ebbe successo. Lasciò, però, una traccia di liberismo quasi estremo o radicale: liberalizzare e privatizzare tutto il possibile, abbassare tasse ed imposte quanto fattibile, ridurre ai minimi la spesa pubblica al fine che l’erario soddisfacesse solo i beni pubblici essenziali (istituzioni democratiche, difesa nazionale, giustizia, ordine pubblico, concorrenza). Nella sua visione, il mercato si autoregola e, se lasciata libera, l’impresa crea crescita e sviluppo. La flat tax entra in questa visione. Ma Walters non la avrebbe finanziata in deficit; la avrebbe accompagnata ad un forte taglio della spesa. In breve, la visione Waltersiana dei nostri “eroi” è piuttosto confusa proprio perché le riduzioni di tasse ed imposte per stimolare l’economia reale vengono finanziate in disavanzo.

E L’ECONOMISTA KEYNES

Quindi, entra in ballo l’anima keynesiana del governo gialloverde. Abbiamo tutti studiato un po’ di Keynes nei banchi universitari, spesso sulla base di appunti e di dispense. Quando ero all’Università i più bravi arrivavano a Keynes tramite il fortunato manuale di Paul Samuelson Economics “An Introductory Analysis” oppure tramite la “Introduzione alla Politica economica” di Francesco Forte. Ora, lo si può leggere nella collana I Meridiani di Mondadori. È, in effetti, il primo Meridiano dedicato non alla letteratura ma alle scienze sociali. È una nuova traduzione (la prima in settanta anni) de “La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, accompagnata da altri scritti dello stesso Keynes. La traduzione è stata fatta da Giorgio La Malfa che l’ha accompagnata da un ricco saggio introduttivo e da ricche note dello stesso La Malfa e di Giovanni Farese. I lettori scoprono che Keynes scriveva in modo piano e semplice – uno stile non sempre riprodotto nelle precedenti traduzioni – e utilizzava poco la matematica – nonostante la sua prima laurea fosse in matematica. Scopriremo anche che l’essenza della sua visione è l’opposto di quella di Walters: mentre il secondo credeva fermamente che il mercato si autoregolamenta e trova da solo un equilibrio, alla base del pensiero di Keynes c’è il concetto, rivoluzionario negli anni Trenta del secolo scorso, che da solo il mercato non è mai in equilibrio e non utilizza a pieno e nel modo migliore i fattori di produzione. Quindi, è necessario, anzi imprescindibile, la mano della politica.

Credo sia doveroso aggiungere che il governo gialloverde ha tutte le intenzioni di utilizzare la mano della politica anche se non nel senso e nella direzione intesa da Keynes. Vuole utilizzare la mano della politica per finanziare in deficit spese correnti, in gran misura a carattere assistenziale. Keynes non ha mai proposto od anche solamente suggerito di finanziare in disavanzo spese di parte corrente. Nella sua concezione, era la manovra sugli investimenti pubblici (da finanziarsi anche in disavanzo) a fare premio per assicurare la piena utilizzazione dei fattori di produzione. Su questo punto i neokeynesiani del “governo del cambiamento” o non hanno letto i testi o li hanno letti male o non hanno capito oppure non hanno voluto capire.

UN GOVERNO TRA KEYNES E WALTERS

Si deve, però, ammettere che, nonostante tutto, non è male che dal governo gialloverde parta un invito, pur se distorto, confuso e confusionario, a riprendere in mano i testi di Keynes, dimenticati in pratica negli ultimi cinquant’anni o quasi. Non è questa la sede per trattare, anche sommariamente, le ragioni di tale oblio. Lo stesso Giulio Tremonti ha, di recente, ricordato che neanche nella crisi iniziata nel 2008 l’Europa e gli Stati dell’unione monetaria abbiano tentato manovre keynesiane, sempre che non si consentano tali i salvataggi bancari effettuati principalmente in Francia, Germania e Paesi nordici oppure – aggiungerei – quel conato di politica espansiva denominato il mai realizzato Piano Juncker.

L’invito potrebbe servire a rivedere alcuni vincoli dei trattati e degli accordi intergovernativi in vigore, essenzialmente introdurre deroghe per gli investimenti pubblici, sino ad ora mai ammesse per la difficoltà di definire il perimetro degli investimenti medesimi (ad esempio, se si includono gli investimenti per il capitale umano e tecnologico, la deroga finirebbe con abbracciare spesa di parte corrente in istruzione, sanità ed altro).

Perché l’invito sia credibile, però, deve essere sganciato dal pensiero di Alan Walters e basato su un serio studio di John Maynard Keynes.

S'affaccia Keynes nella visione economica del governo (ma in modo confuso)

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