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Gli Emirati Arabi hanno presentato all’Onu un report d’investigazione sul “sabotaggio” avvenuto il 12 maggio davanti al porto di Fujairah, hub petrolifero regionale, che ha coinvolto quattro navi, due saudite, una norvegese e una emiratina. Secondo le analisi, a danneggiare le imbarcazioni sarebbe stata “un’operazione sofisticata e coordinata” che soltanto “un attore statale” avrebbe potuto compiere (essenzialmente perché richiedeva addestramento e tecnologie di alto livello). Il report non indica lo “stato” colpevole, ma secondo quanto già dichiarato da alcuni funzionari statunitensi – come per esempio il falco John Bolton, capo del Consiglio di Sicurezza nazionale – la responsabilità ricade sull’Iran.

IL CONTESTO

In quei giorni era già in corso il rafforzamento militare regionale ordinato dal Pentagono come deterrenza nei confronti degli iraniani, su cui grava una nuova accusa dell’intelligence statunitense, secondo la quale le fazioni più estremiste della teocrazia (essenzialmente quelle legate al Corpo dei Guardiani) avrebbero intenzione di mobilitare le forze proxy a loro collegate in Medio Oriente per compiere nel quadrante attacchi contro gli interessi degli americani e dei loro alleati. Si tratterebbe di operazioni di rappresaglia contro una pressione che Washington sta massimizzando in modo continuativo contro l’Iran (oggi per esempio il dipartimento del Tesoro ha alzato sanzioni contro tutte le compagnie petrolchimiche iraniane) dopo l’uscita dall’accordo sul nucleare decisa dall’amministrazione Trump lo scorso anno – oggi il portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha fatto sapere che il governo di Teheran non accetterà di sedersi di nuovo a trattare, rifiutando una sorta di invito avanzato da Francia e Stati Uniti.

I RISULTATI DEL REPORT

I risultati delle indagini condotte dagli uomini di Abu Dhabi – la “Little Sparta” dove si trova il centro della politica assertiva anti-Iran, su cui il factotum Mohammed bin Zayed ha convinto il collega saudita Mohammed bin Salman – sono stati presentati in una seduta a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite. Nelle ricerche gli emiratini sono stati aiutati da consulenti americani e inglesi. I risultati acquisiti dicono: “Alto grado di sofisticazione”, “usate barche veloci per entrare e uscire rapidamente dalle acque degli Emirati”, incursione di sub esperti che hanno piazzato “limpet mines” (ossia mine magnetiche che si attaccano agli scafi e possono essere dosate nella forza esplosiva per non affondare le navi, ma solo danneggiarle: come è successo a Fujairah).

PROVE CIRCOSTANZIALI CONTRO TEHERAN

Sono tutte attività su cui gli incursori iraniani sono fortissimi, e se si sommano alla situazione geomorfologica e geografica del luogo dove è avvenuto l’attacco – lo stretto in cui si trova l’isola iraniana di Hormuz, strozzatura larga poche dozzine di chilometri che fa da passaggio nevralgico per le rotte petrolifere del Medio Oriente – contro l’Iran si sommano prove circostanziali. Un’azione condotta a bassa intensità come messaggio, come dimostrazione di cosa potrebbe significare ingaggiare uno scontro con Teheran. “La responsabilità di questa azione ricade sulle spalle dell’Iran. Non esitiamo a rilasciare questa dichiarazione “, ha detto alla Reuters l’ambasciatore saudita all’Onu, Abdallah al-Mouallimi, l’unico a incolpare apertamente Teheran, insieme a Bolton – che però si era fermato a un “quasi certamente” la scorsa settimana (durante una visita ad Abu Dhabi), addolcendo pochi giorni dopo la sua posizione generale con un “la politica che stiamo perseguendo non è una politica di cambiamento di regime” in allineamento, lui considerato il falco anti-Iran, col presidente Donald Trump, con cui viene descritto essere ai minimi termini.

(Foto: Wikipedia, incursori dei Guardiani in esercitazione)

C'è la firma dell'Iran sul sabotaggio delle navi a Fujairah? Il report Onu degli Emirati

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