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“Il mondo politico degli Stati Uniti sta dando sostegno e amplificando le idee dei manifestanti” a Hong Kong. Lo ha detto oggi in una conferenza stampa da Roma l’ambasciatore cinese in Italia, Li Junhua, che ha continuato: “Hong Kong è della Cina, e non accettiamo alcun tipo di interferenza straniera”. Chiusa con avvertimento minaccioso a Washington: “Chi di spada ferisce di spada perisce”.

Va riepilogato il quadro, perché è ciò che conta: il capo della diplomazia cinese in Italia usa una stramba conferenza stampa organizzata nella sua sede nel nostro paese per lanciare un’accusa pesante agli Stati Uniti – alleati, partner, amici storici italiani –su un dossier che riguarda la politica interna cinese, e che è finito sotto gli occhi dei riflettori mondiali perché è un esempio di come Pechino stracci i diritti civili dei suoi stessi cittadini e non mantenga fede ai trattati internazionali firmati (come quello che riguarda la semi-indipendenza di Hong Kong, per cui i manifestanti si battono contro la cinesizzazione della città-stato).

Val la pena di ripetere che per lanciare questo genere di attacchi e propaganda Pechino usa la platea giornalistica convocata nell’ambasciata in Italia, territorio che evidentemente viene considerato dal Dragone come un background soffice per i propri proclami – forse perché il governo di Roma preferisce la politica dello struzzo anche sul fascicolo hongkonghese (zero commenti, zero prese di posizione).

Secondo Li, dagli Usa si continua a mettere in discussione e interferire con il principio “un Paese, due sistemi” e per questo dice di essere “convinto che se non ci fossero stati questi attori che muovono i fili da dietro le quinte, i manifestanti più violenti non avrebbero avuto il coraggio di fare quello che hanno fatto per le strade della città”. È una chiave retorica arci-nota: i regimi totalitari accusano sempre attori esterni quando si trovano davanti alle proteste, è un richiamo al nemico. Li dice che ci sono “pochi manifestanti” e “misteriosi architetti”.

“Chiediamo agli Usa – ha affermato l’ambasciatore da Roma – di pensare alle loro cose e di non fare agli altri quello non vorrebbero fosse fatto a loro”. Nel corso dell’incontro con i giornalisti ha anche mostrato le immagini del capo dell’ufficio politico del consolato americano di Hong Kong, Julie Eadeh, insieme ai manifestanti.

È una vicenda su cui il dipartimento di Stato s’è pronunciato pesantemente ieri, perché il governo cinese ha abbinato quella foto a informazioni personali diffuse sul conto di Eadeh – figli, famiglia, vita della diplomatica che Pechino con un colpo basso ha mischiato alla situazione politica. Certi comportamenti dimostrano che la Cina “è un regime criminale” ha commentato Foggy Bottom.

 

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