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In questi giorni si celebra il centenario dell’Appello ai Liberi e Forti di don Luigi Sturzo che segnò la nascita del Partito popolare italiano, e sono molti gli intellettuali e gli esponenti della società civile che, nel confrontarsi con l’attuale politica italiana e internazionale, hanno così fatto riferimento a quel passaggio storico della democrazia italiana, un’impronta indelebile che ne segnò la forma e la sostanza. Si parla perciò con insistenza, necessariamente, dell’impegno politico dei cattolici, il punto però della discussione è fissato su quale contenitore dare a questa possibile proposta, nonché sulla sua realizzabilità. Un desiderio velleitario o una realtà attuabile, financo necessaria? Formiche.net ne ha parlato con un democristiano di lungo corso, l’ex parlamentare Gerardo Bianco, già segretario nazionale del Partito popolare o esponente della Margherita, vicepresidente della Camera nel lontano ’87 e ministro della Pubblica istruzione nel 1990, subentrando alla carica allora rivestita da Sergio Mattarella.

Onorevole, cosa rimane oggi di quell’esperienza?

A mio avviso rimane quello che è stato costruito nella storia d’Italia, la grande democrazia sviluppata nel nostro Paese, e un appello vissuto nel nostro Paese dando vita a un movimento politico che ha segnato la storia del ventesimo secolo, costruendo la democrazia italiana. La cui fine segnativa ha lasciato un vuoto che tutti avvertono, una mancanza che viene sentita da quanti conoscono il valore di quel documento. Penso allo splendido articolo di Galli della Loggia sul Corriere della Sera, che spiega che non si trattava di un appello generico ma di un programma di partito, con una cultura alle spalle, che raccoglieva tutta l’esperienza e l’elaborazione concettuale dei movimenti democratici.

Cattolici e politica, oggi. È possibile ripartire da quell’esperienza?

Non è possibile, è necessario. Non ci sono i termini storici, ma c’è un vuoto che va riempito. Oggi ciò che manca non è solo un pensiero politico che guidi le forze politiche ma c’è l’improvvisazione dell’oggi, cioè la politica giocata quotidianamente sui problemi quotidiani ma che non vanno oltre una certa contingenza, non c’è più una visione generale, della società, dello Stato, dell’Europa, del mondo. Le altre culture sono in crisi, mentre quella che avrebbe da suggerire e ispirare in modo concreto una visione del mondo e una politica che si ispiri a questa visione mi pare che sia il pensiero proprio originato dal popolarismo sturziano. Che offre una visione e una tensione ideale, oltre che culturale. Il problema è che ci sono delle oggettive difficoltà storiche che vanno recuperate, con un’iniziativa che a mio avviso dovrebbe cominciare, come fece don Sturzo, dalle autonomie locali, soprattutto dai comuni, dalle città, da chi cioè ha esperienza diretta della realtà può ripartire un movimento che abbia una sua incidenza. Non maggioritario, ma che abbia una sua forza ideale con la quale orientare la politica italiana.

Tra le voci più critiche, come quella di Panebianco, si parla del rischio che un’operazione del genere sia controproducente per la Chiesa stessa.

Secondo me Panebianco commette un errore, che è quello di ritenere che il movimento politico sia una proiezione della Chiesa, ma non è questo il problema, anche perché don Sturzo realizzò la diversità di un movimento politico da quella che era la funzione della Chiesa. Un punto fermo in quell’impostazione politica. Quello che non mi convince poi del suo discorso è che un movimento al massimo dell’otto per cento non avrebbe nessuna consistenza. Io invece credo che anche un movimento con una sua consistenza che si aggiri su percentuali non elevate, nel momento in cui abbia una forza di pensiero e di orientamento, soprattutto in un sistema come quello attuale, che è diventato un sistema proporzionale, può avere un grande ruolo di orientamento. E conquistare via via consistenza e forza. Io credo che ancora il tessuto sociale e italiano sia intessuto di formazione e di cultura cristiana che bisognerebbe saper interpretare politicamente in modo moderno.

Invece, cosa ci si presenta?

Allo stato attuale ci troviamo di fronte a un vuoto totale: non c’è un pensiero né economico né sociale che regga l’azione politica. Ci troviamo di fronte o al ritorno di pericolosi miti come quelli nazionalisti, pure persino in senso regionalistico che è contro l’unità d’Italia, oppure ci troviamo di fronte al pauperismo assistenziale e straccione, che è quello che viene portato avanti attraverso i sussidi piuttosto che attraverso lo sviluppo. Don Sturzo, la Democrazia cristiana e il popolarismo hanno insegnato ben altro: la visione basata sulla dignità della persona che si realizza col lavoro. E soprattutto, uno dei grandi problemi che oggi si pone è che queste forze politiche lavorano contro la Costituzione. La cultura della democrazia diretta e il regionalismo spinto sono sostanzialmente la dissoluzione della Costituzione e il ritorno a posizioni pre-risorgimentali, dove non c’è uno Stato ma una specie di confederazione di staterelli, con la perdita di duecento anni di storia.

Popolarismo e populismo. Quali analogie e quali differenze.

Uno degli elementi essenziali e fondamentali di un partito di ispirazione cristiana e popolare è soprattutto, al primo punto, la difesa non formale ma sostanziale, concreta e storica della Costituzione. Che è praticamente anche la difesa di una storia, che è quella della costruzione democratica e anti-fascista della nostra democrazia. È un elemento fondamentale del pensiero sociale cristiano, il recupero del ruolo dei cosiddetti corpi intermedi nel quadro di un’unità nazionale che insieme costruisce l’Europa. Questa cultura unitaria e coerente oggi non è presentata minimamente dalle forze politiche che hanno in questo momento in governo del Paese.

Oggi una caratteristica che segna sempre più la politica è la disintermediazione.

Non solo, ma anche l’illusione nefasta di poter realizzare una decisione presa direttamente dal popolo. Praticamente basta conoscere un po’ di storia della democrazia greca per capire che questo è il grande inganno dei vari populisti e demagoghi, la demagogia che illude il popolo di poter decidere da solo. E peraltro, la cosa oggi è ancor più pericolosa, con l’utilizzo di strumenti cosiddetti democratici diretti, ed è da tener presente che alla base dei grillini c’è un nome che ha sempre dato vita alla demagogia giacobina. Parlo di Rousseau.

Per un attimo ho pensato parlasse di Casaleggio, più che di Rousseau.

È più che assurdo che si parli di democrazia diretta, dove il popolo deve decidere, poi si è governati da una piattaforma che è governata da alcune persone. Il classico caso che si ripete dei Cleone di turno, famoso demagogo che contribuì alla distruzione di Atene antica.

In questo caso il Cleone di oggi sarebbe Beppe Grillo?

È chiaro, solo che Cleone fu sbeffeggiato da Aristofane, e adesso non troviamo nessun Aristofane che sia in grado di sbeffeggiare Cleone. Ma credo che si stia sbeffeggiando lui stesso.

Un punto fondamentale di oggi, che segna le principali tematiche dei giornali ma anche il rapporto tra il Vaticano, i vertici della Chiesa italiana e l’attuale governo è quello delle migrazioni. Come si comporterebbero i popolari?

Innanzitutto, non deve mai venire meno la pietas, fondamentale nell’azione politica. Ma questo non significa buonismo, come dice lo stesso Papa Francesco, ma compito fondamentale della politica è mantenere la sicurezza e la serenità di una società. Quindi bisogna trovare politiche adeguate. Solo che i problemi attuali, di fronte a un fenomeno che si è sviluppato in maniera impetuosa soprattutto negli ultimi vent’anni della globalizzazione, non si può che rispondere con politiche globali, e quindi in primo luogo con politiche che certamente hanno senso di fronte al problema nella sua ampiezza. Che significa interventi seri e massicci nei Paesi di origine, attraverso politiche coordinate nei Paesi che sono in grado di farlo. Bisogna tenere presente, peraltro, che uno di problemi è quello di far crescere una classe dirigente in questi Paesi, soprattutto del continente africano, e quindi è importante creare le condizioni per farlo.

Un consiglio?

Se dovessi dare un consiglio agli attuali governanti è di ascoltare soprattutto le opere dei missionari e delle congregazioni religiose che operano in questi Paesi. Sentire i salesiani o i comboniani forse potrebbe essere per loro una grande lezione per capire come agire in queste realtà. Proponendo politiche di carattere internazionali. Non c’è altra strada.

Il Papa ha appoggiato apertamente il Global Compact dispiacendosi per chi non ha firmato questo trattato, che la Santa sede invece ha firmato.

È evidente e ha ragione. Anche qui la grande lezione oggi è che paradossalmente gli unici che hanno una visione corretta insieme nazionale e mondiale, obiettivamente, sono nel mondo cattolico. Ed è anche ovvio: il ruolo che può avere la Chiesa cattolica nel mondo, soprattutto nel mondo africano, è straordinario. I governi dovrebbero affiancarla in questa operazione. Manca però la fantasia, perché non si rendono conto che avere qui immigrati che poi tornano nei loro Paesi, con esperienze di sviluppo acquisite, è uno dei grandi contributi che si può dare allo sviluppo dei Paesi africani.

Per restare nella stretta attualità, nel salotto Rai di Fazio, il leader-ombra dei Cinque stelle Di Battista ha parlato di voler avere un incidente diplomatico con la Francia, sul tema dei migranti, toccando anche la questione del franco francese nei Paesi africani.

Non commento.

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