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La visita a Washington del ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, s’è conclusa con una cena di lavoro con il suo omologo, Mike Pompeo, il segretario di Stato e attualmente il membro dell’amministrazione più vicino al presidente Donald Trump.

L’appuntamento serale tra i capi della diplomazia dei due paesi è stato il più rilevante, dal valore politico-strategico, tra parigrado. Cerimoniere Armando Varricchio, l’ambasciatore italiano che, forte della centralità logistica che Villa Firenze ha per certe discussioni, ha curato la visita e accompagnato Moavero nella due giorni intensissima, in cui il ministro italiano è passato anche per la Casa Bianca, dove ha incontrato alcuni alti consiglieri dello Studio Ovale, tra cui John Bolton, capo del Consiglio di Sicurezza nazionale, delegato da Trump per curare dossier dal carattere politico e di sicurezza.

Moavero, parlando ai giornalisti ha confermato gran parte delle anticipazioni sui temi trattati, tra queste l’annunciato ritiro americano dalla Siria e quello parziale dall’Afghanistan. Questione che “non potrebbe non avere un impatto sulle valutazioni sulla presenza italiana all’estero”. Ma Moavero ha aggiunto un passaggio rassicurante, che fa sembrare l’annuncio del dietrofront siriano di una dozzina di giorni più un claim elettorale che una decisioni definitiva – o quanto meno, qualcosa è cambiato nel pensiero del presidente americano. Il disimpegno statunitense “non sembra avere un calendario o tappe definitive”, ma essere “condizionato al parallelo miglioramento della situazione”.

Al momento dell’annuncio Trump aveva dato 30 giorni per il ritorno dei suoi soldati dalla Siria, poi c’è stata una revisione informale a 120, ora – dalle dichiarazioni del primo alleato americano che ha visitato Washington nel 2019 – pare che quel tempo sia a carattere indeterminato. Interesse degli americani è che l’Italia non faccia passi indietro sul coinvolgimento in Iraq e Afghanistan, anzi.

Sempre sui fronti tecnici della sicurezza, s’è parlato ovviamente anche di Libia: Moavero ha detto che c’è “sostegno politico” nel lavoro che il nostro paese sta facendo per mantenere la situazione sotto controllo, e intavolare (anche grazie a step importanti come la Conferenza di Palermo) la via della stabilizzazione. Ruolo di “cabina di regia” confermato per Roma, ma in cambio che non si rinuncia agli altri impegni internazionali.

E la Libia è un punto caldo del Mediterraneo, bacino che per dottrina politica gli Stati Uniti affrontano includendolo nel Grande Medio Oriente, ossia l’area MENA (Middle East and North Africa), ma che per sensibilità sopratutto nella porzione orientale – tra instabilità e rivendicazioni turche, presenza russo-iraniana e interessi energetici anche israeliani – sta diventando anche per Washington un teatro strategico di valore primario si cui vorrebbe maggiore concentrazione da parte della Nato.

Su Nato: Washington sta invitando partner come l’Italia a non allentare sull’obiettivo del 2 per cento del Pil in spese militari fissato dall’alleanza. La centralità che il tema difesa ha negli Stati Uniti è enorme, e porta il discorso a un livello politico. L’Italia ha tagliato fondi nell’ultimo bilancio pubblico, e nell’ottica degli equilibri politici interni alla Nato, guidati da Washington, non è una mossa apprezzata oltreatlantico. Nell’ambito Nato, anche i rapporti con la Russia: Washington non esclude il dialogo, ma vuole una linea ferma senza scatti in avanti.

Poi l’Iran, su cui Pompeo vuole massima concentrazione. L’Italia è uno dei sei paesi a cui gli americani hanno concesso una formula di esenzione dalla sanzioni secondarie che arriveranno a caduta per la reintroduzione statunitense delle primarie alla Repubblica islamica. Moavero ha detto che Roma è ancora convinta nel “sostenere la validità dell’accordo sul nucleare”, da cui gli Stati Uniti si sono tirati fuori secondo una volontà trumpiana annunciata fin dai tempi della campagna elettorale del 2016. Anche su questo fronte il ministro italiana ha dato un’informazione in più, confermando rumors che sono circolati nelle ultime ore: “Esiste la possibilità di estendere le esenzioni, ma è una questione di lavori in corso”. Finora il dipartimento di Stato aveva precisato che le esenzioni fossero inestendibili, ma una fonte di Formiche.net aveva anticipato che potrebbero esserci “designazioni puntuali” da affrontare in via bilaterale tra Usa e diretti interessati.

L’Iran è un tema che passa dalle questioni strategiche di sicurezza a quelle geo-economiche. Da qui, la Cina: l’Italia ha avviato una dialogo con Pechino e subisce una discreta penetrazione cinese all’interno del proprio tessuto economico, finanziario e infrastrutturale, che non piace troppo a Washington – gli americani, nell’ambito di un confronto globale che sfocia nello scontro commerciale, vorrebbero allontanare i loro alleati dal Dragone, e chiedono uno sforzo. Moavero ha risposto indirettamente a queste richieste, dicendo che affinché l’Italia stia lontana dalla Cina è “importante che gli americani aumentino gli investimenti nel nostro paese” – ed è una linea che non dispiace all’amministrazione Trump, che in cambio di allineamento e lealtà promette condivisione della “prosperità” (parola chiave del documento strategico sulla sicurezza nazionale, in cui Cina e Russia vengono identificate come “rival powers”).

 

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