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Adesso è tutto un po’ più chiaro, dopo le visite incrociate al Vinitaly, le dirette incrociate in Tv (da Fazio per Di Maio e da Giletti per Salvini) di ieri sera, dopo i messaggi incrociati via social network, segnali di fumo e piccioni viaggiatori. Il motto “unificante” del capo leghista e del leader pentastellato è “posso ma non voglio”, anzi “possiamo ma non vogliamo”, giacché le cose le fanno insieme (comprese le nuove fidanzate). Posso ma non voglio rompere l’alleanza di governo, posso ma non voglio provocare la fine della legislatura, posso ma non voglio studiare equilibri politici diversi. Per Salvini ogni occasione è buona per ergersi a paladino nazionale della sicurezza (contro le indulgenze catto-comuniste del Pd), ogni microfono è utile per ribadire che lui dice “si” mentre gli altri (i suoi alleati di governo) dicono spesso “no”, ogni selfie serve a descriversi come uomo del popolo e per il popolo.

Per Di Maio ogni convegno serve a dire che la svolta è in atto, ogni post è conferma esistenziale della fine dei regimi precedenti, ogni palcoscenico consente di punzecchiare la Lega fermandosi sempre prima che la ferita diventi preoccupante. Il tutto però in un clima di tensione che non deve mai calare ma che deve (categoricamente) evitare di esplodere. Tanto più forte è il loro convincimento sul punto e tanto più necessaria è quindi l’azione di disturbo dei colonnelli, perché solo così il gioco “sembra” vero.

E allora via alla critiche a Salvini da tutto il gotha del movimento (Fico in testa), accusandolo persino di essere uno scansafatiche, uno che non va al ministero, uno che non risponde al telefono dopo le otto di sera (e se gioca il Milan il black out assume contorni epici). E così avanti tutta con i Siri, i Rixi, i Giorgetti, i Centinaio che spingono come muli sui temi leghisti per eccellenza (flat tax, opere pubbliche) con lo scopo evidente di tenere sotto pressione gli alleati dall’alba al tramonto.

Però i due capi si fermano sempre a un centimetro dal burrone, con malcelata aria di compiacimento. Ci fanno capire dalla mattina alla sera che hanno il dito appoggiato sul detonatore, che la bomba a disposizione è di potenza devastante, che loro non hanno paura di niente e di nessuno.
Ma ci dicono anche che quel pulsante non sarà premuto, che (per ora) si va avanti così, in un crescendo rossiniano che serve, innanzitutto, per rendere marginali il Pd e il Cavaliere (e pure la Meloni).

D’altronde può Salvini immaginarsi a Palazzo Chigi sostenuto da Berlusconi? No che non può e, soprattutto, non vuole. E può Di Maio volgersi verso il Pd e pensare ad un governo con loro? No che non può e, comunque, adesso non ci sta nemmeno Zingaretti. Quindi Matteo&Luigi non hanno un vero piano B, almeno nel presente. Il “posso ma non voglio” è il loro Preambolo (Carlo Donat-Cattin, febbraio 1980).

Di Maio salvini

Il motto di Matteo&Luigi: “Posso ma non voglio”

Adesso è tutto un po’ più chiaro, dopo le visite incrociate al Vinitaly, le dirette incrociate in Tv (da Fazio per Di Maio e da Giletti per Salvini) di ieri sera, dopo i messaggi incrociati via social network, segnali di fumo e piccioni viaggiatori. Il motto “unificante” del capo leghista e del leader pentastellato è “posso ma non voglio”, anzi…

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