Skip to main content

Che lo spazio rivesta un ruolo strategico in ambito militare è ormai una tautologia. Dalla guerra del Golfo in poi siamo tutti abituati a immagini di bombe intelligenti che colpiscono il bersaglio guidate dal Gps, reparti che dal campo di battaglia comunicano via satellite con centri di comando remoti, droni i cui equipaggi si trovano in un altro continente, immagini dettagliate riprese da sensori imbarcati su satelliti in orbita bassa. E la tecnologia si sta ancora evolvendo.

NUOVI SCENARI

Presto dovrebbero vedere la luce costellazioni di migliaia di satelliti pensate per fornire connettività in ogni punto del globo. Stando così le cose, non stupisce che negli Stati Uniti, su impulso del presidente Donald Trump, sia ripartito il dibattito sulla necessità di dotarsi di una Space Force autonoma, ricalcando la decisione che dopo la Seconda guerra mondiale sancì la rilevanza strategica della US Air Force. Cina e Russia sono ormai diventati dei competitor temibili; per quanto riguarda la Nato, sebbene manchi una strategia comune, i singoli paesi stanno sviluppano strategie e programmi su base nazionale.

NON SOLO INGEGNERI

A questo punto sembrerebbe il caso di passare la palla a ingegneri e analisti di sistema. Lo scopo del gioco dovrebbe essere sviluppare sistemi d’arma che sfruttino appieno le potenzialità dello spazio come moltiplicatore di forza (mantra degli stati maggiori), siano resilienti (altro mantra) a potenziali attacchi e possibilmente consentano di passare all’offensiva contro la componente spaziale dell’avversario.
La realtà, purtroppo, è molto più complessa.

LE IMPLICAZIONI STRATEGICHE

Nei primi anni del Novecento, gli Stati maggiori avevano assistito a un’altra rivoluzione tecnologica, quella legata all’industrializzazione della guerra (per intenderci: cannoni e munizioni in quantità mai viste prima, mitragliatrici, filo spinato e masse di uomini scaraventate al fronte su rotaia). Avevano anche avuto un caso di studio per capire le implicazioni di tutto questo nel conflitto Russo-Giapponese del 1905. Eppure dal 1914 al 1918 lanciarono i loro eserciti in ripetute offensive alla ricerca di uno sfondamento e una manovra impossibili da ottenere. Avevano capito il funzionamento delle tecnologie, ma non erano stati in grado di porle nel più ampio contesto operativo e strategico.
Durante tutta la guerra del Vietnam i generali americani inconsciamente cercarono di replicare la ricetta che aveva assicurato loro la vittoria quando erano colonnelli sui campi di battaglia della Seconda guerra mondiale e che era divenuta l’elemento fondamentale della cultura organizzativa della US Army: disporre in ogni occasione di una soverchiante superiorità di fuoco. Il dato interessante è che, per tutta la durata del conflitto vietnamita, praticamente tutte le innovazioni americane, tattiche e tecnologiche, furono dirette in questo senso, mentre ne furono tralasciate altre che si sarebbero potute perseguire se la guerra fosse stata concepita veramente come una di contro-insurrezione. La superiorità tecnologica in Vietnam non fu sufficiente a compensare questo fondamentale errore di valutazione strategica.
Volendo andare addietro nel tempo, quando le armi da fuoco individuali si diffusero sui campi di battaglia europei nel sedicesimo secolo, la loro rilevanza non stava in una superiorità tecnica rispetto all’arco e la balestra. In effetti un archibugio per gittata, precisione e capacità di penetrazione era inferiore a una balestra o un arco. Ma, a differenza di un arco, richiedeva solo pochi giorni di addestramento e consentiva al condottiero di approvvigionarsi di uomini a buon mercato e facilmente controllabili.
Innumerevoli esempi di questo tipo ci insegnano che le implicazioni strategiche di una rivoluzione tecnologica non sono facili da prevedere, ma soprattutto che la loro comprensione passa solo in minima parte attraverso la dimensione tecnica. Diceva Bernard Brodie che un buon stratega è prima di tutto un buon antropologo.

IL PENSIERO CHE SERVE

Stando così le cose, la domanda non è come lo spazio ci aiuterà a vincere con più facilità le guerre che abbiamo combattuto finora, ma che forma queste assumeranno dato il fatto che saranno combattute anche nello spazio.
La risposta a questa domanda non sarà data solo da ingegneri e analisti di sistema, ma da un pensiero strategico che studi l’intersezione tra tecnologia e politica, anche ispirato, per quanto possibile, dall’analisi di analogie storiche.
Per pensare alle innovazioni occorre avere una solida cultura dei classici del pensiero strategico, non per avere la risposta alle domande del futuro, ma per sapere quali siano le domande giuste da porsi.
Prendendo spunto da Clausewitz (autore di cui già durante la Prima guerra mondiale si diceva che tutti i generali lo avevano citato ma nessuno lo aveva letto), alcune domande possono già essere formulate. Dato lo stato attuale della tecnologia e la situazione politica, qual è il rapporto di forza tra difesa e offesa? Che ritmo avranno operazioni militari nello spazio: saranno destinate a una rapida escalation che non lascia spazio al decisore politico o tenderanno ad avere tempi morti? Sarà possibile una battaglia nello spazio, al fine di annichilire in un unico scontro il grosso delle infrastrutture dell’avversario, o sarà più che altro una guerra d’attrito? Ci saranno strategie diversificate per il dominio dello spazio? A questo proposito si potrebbe notare come a partire dal Cinquecento le strategie per il dominio del mare si diversificarono, con la marina inglese orientata a una strategia di battaglia e annichilimento e le marine dei paesi continentali orientate a una guerra di corsa.

Gli autori ringraziano il colonnello Villadei dell’Aeronautica Militare per i sui commenti sull’articolo.

Perché serve una strategia (militare) per lo spazio

Di Marco Marcovina e Pablo Mazurier

Che lo spazio rivesta un ruolo strategico in ambito militare è ormai una tautologia. Dalla guerra del Golfo in poi siamo tutti abituati a immagini di bombe intelligenti che colpiscono il bersaglio guidate dal Gps, reparti che dal campo di battaglia comunicano via satellite con centri di comando remoti, droni i cui equipaggi si trovano in un altro continente, immagini…

salvini

Minniti, Salvini e il messaggio sugli "zero sbarchi"

La lotta politica sull’immigrazione si combatte non solo sulle norme del decreto sicurezza o sulla sorte delle due navi di Ong ancora al largo di Malta, ma anche sui numeri. Quest’ultimo è un tema caro al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, al quale va dato atto che il pugno duro utilizzato da quando è al governo ha ottenuto effetti sull’ulteriore calo…

Perché Carige deve convolare a nozze. Parla Messori

Bisogna andarci piano con le banche. Il rischio è di fare una certa confusione e non capire bene il presente, né tanto meno il futuro. Il governo, è vero, si è mosso sulla banca genovese in crisi patrimoniale dopo lo sfumato aumento pre-natalizio (400 milioni) con un decreto approvato nella serata di ieri (qui l'articolo odierno con tutti i dettagli).…

Rilanciare l’Italia facendo cose semplici: rendere più liquide le famiglie con un fondo per acquisire la nuda proprietà immobiliare

“Non conta il colore del gatto, conta che acchiappi il topo” Confucio Lo abbiamo già detto tante volte in convegni e interviste ma vogliamo ribadirlo ancora: Banca d’Italia ha recentemente ricordato che la ricchezza totale delle famiglie italiane per l’anno 2017 rimane intorno ai 10.700 miliardi di euro, di cui circa il 60% sono costituiti da attività immobiliari, ed il…

L'Italia deve avere un ruolo nel Mediterraneo. E se la portualità indicasse la strada?

Il primo paper che l’Osservatorio nazionale sulle infrastrutture ha presentato al Cnel nel marzo del 2018 è stato dedicato alle infrastrutture digitali e al tema delle Smart Valley, che non sembra essere ancora al centro del dibattito italiano. In altre realtà europee e internazionali, invece, è già oggetto di riflessione, analisi e sperimentazione. C’è bisogno pertanto di stimolare un percorso…

gilet gialli

Dalla piazza al governo. Perché non è scontato che i gilet gialli seguano l'iter di M5S

Il tweet di Luigi Di Maio che apre ai “gilet gialli” d’oltralpe ha una ratio? Porterà vantaggi in termini di consenso ai Cinque Stelle o è stato un boomerang? Quali ragionamenti hanno spinto il vicepremier, evidentemente d’accordo con i suoi esperti di comunicazione, ad uscire così apertamente allo scoperto? Quanto sono vicini i pentastellati ai rivoltosi francesi? Il primo elemento…

algeria, macron

Consultazioni online, le rime baciate tra Cinque Stelle e gilet gialli

Cosa c’entra il matrimonio tra coppie dello stesso sesso e la protesta dei Gilet Gialli? La tentazione è quella di rispondere “nulla”. Sbagliato. Chiamato ad esprimere liberamente proposte per far fronte alla crisi sociale e politica in corso, a commentare e a votare quelle degli altri, il popolo fluorescente, (perlomeno quello che si è espresso sul sito del Cese, Conseil…

Così Travaglio raddrizza la barra democratica delle riforme costituzionali dei 5 Stelle

Achtung referendum. È questo il titolo dell'editoriale odierno di Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, giornale se non vicino certamente ancor meno lontano dal Movimento 5 Stelle. Ed è proprio dalle colonne del Fatto che arriva un monito, suggerimento, consiglio ai 5 Stelle e al ministro Riccardo Fraccaro: la riforma costituzionale sul referendum senza quorum così com'è non può funzionare,…

Ecco i 10 rischi globali per il 2019. Report Eurasia Group

Se pensavate che il 2019 sarebbe stato l’anno clue per una crisi geopolitica di portata globale avevate sbagliato i calcoli, di poco. A dirlo è l’ultima edizione del rapporto “Top Risks” di Eurasia Group, la società di consulenza fondata dall’analista americano Ian Bremmer che sussurra (dietro lauti compensi) a capi di Stato, giganti della finanza e multinazionali. “A dispetto dei…

cipro, Turchia, varna, elicottero turchia, Erdogan

Erdogan dà buca a Bolton. E il rapporto tra Usa e Turchia scricchiola

La Turchia non cede e il messaggio che l’advisor di Trump, John Bolton, porterà a Washington dopo la sua missione ad Ankara, è che il colloquio fra il presidente americano e quello turco, Recep Tayyip Erdogan sarà tutto in salita e anche la normalizzazione fra i due Paesi potrebbe subire un pesante rallentamento. Tanto per cominciare Bolton, Erdogan non lo…

×

Iscriviti alla newsletter