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Mentre il governo italiano continua a negoziare con Bruxelles per definire i termini della manovra, un altro tema “caldo” si affaccia nel dibattito pubblico con sempre maggiore rilevanza. Quello dell’autonomia del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia Romagna, di cui sono portatori i tre presidenti di regione ma non solo, anche la stessa ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie, Erika Stefani, che proprio questa mattina, intervenendo su La7 a Coffee Break ha parlato di una “rivoluzione” iniziata un anno fa con le pre-intese stipulate dall’Emilia Romagna con l’allora governo Gentiloni, e con i referendum – che non hanno alcun valore vincolante – di Veneto e Lombardia.

Per capire quale sia la partita in gioco, Formiche.net ha parlato con Francesco D’Onofrio, ex ministro per gli Affari Regionali, profondo conoscitore della materia.

Professore, oggi si parla molto di regionalismo differenziato. Ci spiega di cosa si tratta?

Si parla di regionalismo differenziato perché nell’articolo 116 ultimo comma della Costituzione, nel titolo V, si dice che le regioni ordinarie possono chiedere di svolgere qualcuna delle materie concorrenti tra Stato e Regioni. Il Veneto, ad esempio, le ha chieste tutte e 23. Qual è il problema tecnico, molto delicato? Se lo Stato, che rimane padrone dei principi di queste materie, deve fare una norma comune per tutte le materie decentrate, e questo significherebbe rimandarlo chissà a quando, o invece se deve pronunciarsi materia per materia, quando le regioni lo richiedono, come in questo caso. Il Veneto le ha chieste tutte ma spinge principalmente per Sanità e Istruzione, e allora che cosa dovrebbe stabilire come principi comuni di Istruzione e Sanità? Questo è un problema aperto.

Ci spieghi meglio.

Il Veneto divenne parte dell’Italia dopo l’unità, quindi è ancorato ancora di più a una logica di Stati autonomi, così come potrebbe diventare, per uscire dall’Italia, la Catalogna, anche se lì ci sono altri problemi che non stiamo qui a sottolineare. Noi abbiamo un’esperienza di federalismo originariamente confederale, come quello americano, c’è poi la federazione tedesca che è molto più accentrata, mentre abbiamo l’accentramento massimo di tradizione francese. Le casacche gialle (i gilet gialli, ndr) hanno anche questo senso di rivolta della periferia contro Parigi più di quanto non sembri, cosa che in Italia non c’è perché Roma è più capitale cattolica che capitale dello Stato.

Non stupisce, dunque, che il Veneto voglia maggiore autonomia?

Questa norma è l’idea di un modello che fu pensato soprattutto per il Veneto, che è una regione ordinaria, ma che confina con Friuli Venezia Giulia e col Trentino Alto Adige. Il Veneto voleva lo statuto speciale come le regioni speciali, oppure che nessuna regione avesse lo statuto speciale. L’alternativa fu una soluzione intermedia, il regionalismo differenziato, né speciale né ordinario, una cosa diversa. Si chiama regionalismo differenziato perché si differenzia a seconda delle richieste che fanno le regioni. Fu un tentativo di dire: l’Italia avrà alcune regioni speciali per ragioni storiche – Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, per ragioni linguistiche internazionali – le altre ordinarie e in mezzo il regionalismo differenziato per quelle che lo chiedono, questa fu la nostra idea.

Cosa chiede il Veneto, oggi?

Il Veneto chiede una cosa molto sostanziale. Mentre nell’articolo 116 non abbiamo mai parlato di soldi, ma solo di competenze, il Veneto chiede di trattenere nella Regione una percentuale da definire nell’accordo con lo Stato, una parte delle imposte come l’Irpef. Ecco, questo porterebbe a perdere l’idea dell’unità nazionale del gettito fiscale.

Il passo successivo rispetto al federalismo fiscale?

Il livello di gettito fiscale che si sceglierà di trattenere farà capire se si andrà verso un sistema di tipo confederale – ossia con un’autonomia statale totale – oppure con un’autonomia molto più ridotta. Il federalismo fiscale può diventare, insomma, confederale o federale, dal punto di vista istituzionale e culturale. Il Veneto chiede di dare il residuo fiscale allo Stato, ossia molto poco, se invece lo Stato trattiene quasi tutto e dà molto poco alle regioni si arriva a un problema politico.

Quale?

Come si fa a garantire l’unità nazionale dei diritti fondamentali all’istruzione e alla salute? Il problema politico importante, insomma, è la differenza Nord-Sud. La Lega è nordista ma tende ad avere voti anche al sud, il Movimento 5 Stelle è più ancorato al sud ma tende ad avere voti anche al nord, quindi entrambi tendono a un federalismo unitario, non a un federalismo di separazione. Il Veneto, invece, spinge molto più per un federalismo anche di separazione e non è un caso che Zaia sia, culturalmente, molto più bossiano di quanto non sembri.

Insomma, la partita politica è ancora aperta…

Finalmente il tema sta diventando di grande attualità. Dal versante tecnico si passa a quello politico, ma la svolta si avrà quando la partita tra Roma e Bruxelles sulla manovra arriverà al suo punto finale.

Autonomie regionali, la partita di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto spiegata da Francesco D'Onofrio

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