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Il signore della guerra dell’Est libico, il generale Khalifa Haftar, avrebbe dovuto incontrare ieri a Mosca Vladimir Putin, che negli anni passati aveva dimostrato un interessamento esplicito verso il lato della spaccatura interna rappresentato dall’autoproclamato Feldmaresciallo, uomo forte della Cirenaica. Lo annunciavano le sue fanfare propagandistiche come The Adress (sito di disinformazione haftariana con un nome internazionale). Salvo che – come ci dice una fonte del Cremlino – “non è vero che ha parlato Putin: è stato in Russia, ma ha avuto incontri di livello piuttosto inferiore: è stato impossibile, per ragioni di agenda, anche organizzare una chiacchierata con il ministro della Difesa (Sergei Shoigu, ndr)”.

LA RUSSIA E LA LIBIA

Qualcosa è cambiato? Due anni fa, per esempio, Haftar era stato accolto a bordo della portaerei russa “Kuznetsov” passata davanti alle coste di Tobruk al rientro dalla Siria – in quel caso, dopo la photo opportunity sul ponte, c’era stata una videoconferenza con il ministro della Difesa. Inoltre, contractor russi erano stati segnalati sul campo a dare consulenza alle attività della milizia haftariana Lna, più o meno discretamente impegnati in operazioni anti-terrorismo. Le sfumature del termine terrorismo – che è stato il nodo dell’incontro con i russi ed è stato usato per lo scomposto commento favorevole sulle attività del libico uscito una mesata fa dalla Casa Bianca – sono relative. Questo perché per Haftar (e per i suoi sponsor mediorientali) i terroristi sono tutti quelli che gli si oppongono, ivi compreso il Governo di accordo nazionale libico, che è il progetto d’esecutivo che tre anni fa l’Onu affidò alla guida di Fayez Serraj.

IL FRENO DOPO L’AGGRESSIONE A TRIPOLI

Al di là del posizionamento precedente, però, da quando il Feldmaresciallo della Cirenaica ha lanciato la sua operazione di conquista su Tripoli (che ha prodotto tra le altre cose il risveglio dei terroristi califfali), l’atteggiamento russo sembra un po’ cambiato. Se prima era un attore informalmente in campo, Mosca s’è tirata piuttosto fuori dalla campagna tripolina, rifugiandosi nella posizione terza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, di cui la Russia è membro permanente, e chiedendo l’immediato cessate il fuoco e il ritorno al tavolo dei negoziati secondo la traiettoria tracciata dal delegato delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé.

CONTATTI DIPLOMATICI INCROCIATI

Ieri, mentre Haftar era in Russia, Serraj era alla Mecca, invitato ai summit organizzati dai sauditi per intestarsi la maxi-pratica del controllo regionale in chiave anti-Iran. Serraj ha avuto una conversazione con Mohammed bin Salman, che pochi giorni prima del lancio della campagna su Tripoli aveva ospitato Haftar – e per questo è considerato il finanziatore nemmeno troppo occulto dell’operazione. L’interesse dell’Arabia Saudita per l’area nordafricana nell’ultimo anno e mezzo è notevolmente aumentato, perché Riad vuole intestarsi un ruolo di guida nelle dinamiche regionali allargate e perché quel territorio, la Libia come la Tunisia, sono diventati sfogo per uno scontro proxy all’interno del mondo sunnita. Da un parte le visioni più universalistiche di Emirati e Arabia Saudita, dall’altra quelle collegate all’Islam politica della Fratellanza musulmana. Letture che sono uscite anche dai summit di questi giorni, e che si riverberano in Libia, dove i primi hanno in Haftar il loro campione, mentre Serraj viene da Misurata, città che subisce l’influenza dei Fratelli (e di Turchia e Qatar). L’incontro con bin Salman di ieri per questo è stato importante.

 

Haftar a Mosca (non ha incontrato Putin), Serraj in Arabia Saudita

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