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Il ministro Grillo ha presentato il Documento in materia di governance farmaceutica, con in previsione tagli – si è parlato di circa due miliardi – e riallocazione delle risorse. Ma quali sono i rischi, ad esempio, del criterio dell’equivalenza terapeutica per la revisione del prontuario farmaceutico o dell’implementazione di gare regionali secondo criteri di categorie omogenee?

Intanto faccio una precisazione. I due miliardi di tagli previsti, in realtà – e non siamo solo noi a dirlo – non sono realistici. Chiunque creda che da questa manovra possano uscire due miliardi, non so da dove abbia preso i numeri. Si stanno facendo i conti su una cifra che non ci sarà. Basti sapere che, su una convenzionata, oltre il 90% dei farmaci sono a brevetto scaduto, per cui i tagli non potranno mai portare a un guadagno del genere.

Vero, ma il ministro ha ricordato che abbiamo una penetrazione dei generici intorno al 17-18%…

Innanzitutto, la penetrazione di generici in Italia è molto più alta. Ma poi si tratta comunque di una questione puramente aziendale perché, con i brevetti scaduti, che si tratti di farmaci generici o non generici, lo Stato paga comunque il prezzo più basso. Per cui quali margini di risparmio potrebbero mai esserci nella sanità, se lo Stato paga già il prezzo più basso?

E a proposito di equivalenza terapeutica?

Mah, la revisione del prontuario improntata verso una equivalenza terapeutica va bene, ma solo quando l’equivalenza terapeutica è provata scientificamente. Anche perché, dobbiamo ricordarlo, i farmaci possono anche apparire uguali, ma i malati sono e restano differenti per caratteristiche e peculiarità e ognuno ha bisogno di una determinata terapia specifica. E nessuno oltre al medico può dire quale sia. Tra l’altro, mettendo alla pari farmaci a brevetto scaduto e farmaci a brevetto non scaduto, si costringono le aziende a non fare più ricerca. Chi farebbe mai ricerca, se non può ricavarne un guadagno? Il brevetto praticamente in questo modo viene meno.

In che senso?

Nell’equivalenza terapeutica vengono messi insieme farmaci a brevetto scaduto e farmaci ancora sotto copertura. Ma è ovvio che un farmaco a brevetto scaduto ha un pezzo più molto più basso, per cui i farmaci coperti da brevetto vengono automaticamente messi fuori gioco. Ma nel momento in cui il brevetto perde sostanzialmente di valore, chi dovrebbe mettersi a fare ricerca?

Il farmaceutico italiano, tra l’altro, è uno dei primi a livello europeo e il primo hub produttivo nell’Ue. In un’economia in crisi, non potrebbe essere un’autorete frenare uno dei pochi settori che continua a viaggiare a grande velocità?

Assolutamente sì, è un errore grandissimo. Comporterebbe la fine di molte imprese, sia medio-piccole che grandi, perché non avranno più ragione di produrre. Tra l’altro, è proprio la ratio ad essere carente, perché comunque lo Stato paga il prezzo minimo di rimborso, per cui si hanno delle conseguenze negative senza però averne di positive. La manovra, fatta per aumentare la sostenibilità della sanità, e quindi per favorire l’economia nazionale, rischia invece di danneggiarla. E invece noi dobbiamo tutelare la crescita, la produzione e l’occupazione. È già capitato, in passato, che manovre del genere abbiano gravemente danneggiato il tessuto imprenditoriale nazionale e, di conseguenza, l’occupazione. Se accadrà di nuovo, qualcuno dovrà pendersene la responsabilità.

Ma ci sono delle alternative, per garantire un Sistema sanitario nazionale più sostenibile?

Certo che sì, e noi ne abbiamo proposte molte. Fra queste, visto che nella parte convenzionata ci sono dei disavanzi di centinaia di migliaia di milioni di euro, mentre nella diretta mancano, e visto che questi fondi sono programmati per la farmaceutica, basterebbe fare una programmazione più vicina alla realtà cosicché si efficienti il sistema, garantendo tra l’altro ai malati l’accesso a farmaci che con la diretta non possono avere.

Parliamo proprio dei malati. Come è stato più volte detto, è fondamentale che la terapia venga scelta in maniera puntuale in base alle caratteristiche specifiche del malato, che solo il medico può conoscere. Non le sembra che questa linea imponga una eccessiva generalizzazione?

Non è che sembra, è la realtà. Si vuole andare verso un farmaco unico, una sorta di farmaco di Stato che vada bene per tutti. Ma a pagarne le conseguenze saranno i malati. L’industria può anche tentare di sopravvivere andando all’estero, ma i malati cosa faranno? Che succede? Loro hanno diritto a cure innovative e ad essere curati da medici che scelgono per loro, in scienza e coscienza, la terapia migliore.

Stiamo perdendo di vista la libertà prescrittiva? Se si impone un farmaco unico, dov’è questa libertà?

Sì, è la fine della libertà prescrittiva. Mi auguro che i medici, e lo stanno già facendo, prendano parte a questo potenziale tavolo per fare una scelta. Un medico vede il paziente, fa la diagnosi e sceglie la terapia. Ma se la terapia è unica, a che serve il medico? L’atto prescrittivo è un atto di grande responsabilità che spetta – e deve spettare – solo al medico.

A proposito di tagli e riallocazione, l’Aifa ha di recente risancito in un comunicato l’uguaglianza fra farmaci originator e biosimilari, così come scritto anche nel Documento in materia di governance farmaceutica alla lettera C. Noi sappiamo quale grande risorsa possano essere i biosimilari, ma non le sembra che il paziente stia perdendo di centralità in favore di questioni economiche, che devono essere centrali, ma non possono essere prioritarie?

Sì, assolutamente. Il criterio economico è e deve essere fondamentale, ma comunque sempre secondario a quello scientifico. Ricordiamo, equivalenza terapeutica provata scientificamente è ok, ma equivalenza non provata scientificamente equivale a rischio. E poi, non ì dimentichiamo che non è mai il generico o il biosimilare a far risparmiare, ma la scadenza del brevetto. È importante che si sappia ed è importante che il paziente ne abbia consapevolezza.

 

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