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Ieri pomeriggio, a Washington, c’è stato un incontro a più round, molto intenso e lungo, a cui hanno partecipato quattro delegati congressisti per i Democratici e altri quattro per i Repubblicani. Dai negoziati s’è raggiunto un accordo di massima per avviare le pratiche con cui far ripartire definitivamente il governo federale, ed evitare così un altro shutdown che senza un’intesa tornerà attivo inesorabilmente da lunedì prossimo – tecnicamente inizierebbe già sabato 16 febbraio, perché il giorno prima scade il decreto presidenziale che ha riattivato il paese per queste ultime tre settimane.

Richard Shelby, che è il repubblicano che presiede la Commissione stanziamento fondi del Senato e che ha partecipato all’incontro in quanto co-presiede insieme a colleghi democratici una commissione bipartisan ad hoc, ha detto che l’accordo c’è, “su tutto” (“Abbiamo passato una buona serata” ha detto Shelby dopo ore di negoziati, parlando ai giornalisti con a fianco il collega Dem Patrick Leahy). I dettagli dovrebbero arrivare ufficialmente mercoledì, in uno sforzo disperato per portarlo alla votazione delle due camere entro venerdì, e soprattutto essere firmato dal presidente Donald Trump. E qui sta il problema.

I Democratici sono disposti a concedere 1,375 miliardi di dollari per “barriere fisiche” col Messico, che corrispondono a una novantina di chilometri, da destinare a quanto pare alla costruzione di protezioni simili a quelle già presenti, reticolati e recinzioni, lungo la Rio Grande Valley. Ma non un muro di cemento, secondo una fonte di The Hill, come Trump vorrebbe. L’opera è stata il centro del dibattito che aveva portato al più lungo shutdown della storia, 35 giorni in cui oltre 800mila dipendenti federali erano rimasti senza stipendio e diversi uffici governativi erano rimasti chiusi.

Il punto è che Trump non vuol rinunciare al Muro: è un promessa elettorale, e ormai è diventato l’argomento politico su cui difficilmente potrà tirarsi indietro con un insuccesso. Trump accetterà il successo parziale che le concessioni democratiche rappresentano rispetto ai quasi sei miliardi richiesti quest’anno per avviare in modo consistente l’opera in cemento e acciaio (che ne costerà almeno 25 e dovrebbe essere lunga più di 300 chilometri)?

Ma le richieste economiche della Casa Bianca non sono, per lo meno al momento, il centro di quella che è stata l’impasse aperta nel weekend che sembrava far naufragare i negoziati. Le due parti erano in disaccordo sul tentativo dei democratici di imporre un nuovo tetto alle detenzioni di immigrati fermati negli Stati Uniti. Trump, che ieri era a un raduno politico-elettorale a El Paso – una città texana al confine con il Messico che sempre ieri ha ospitato una marcia di protesta anti-trumpiana organizzata dal democratico Beto O’Rourke e bersagliata dalle battute del presidente – ha detto: “Non firmerò mai un accordo che mi costringe a liberare in massa dei violenti criminali”, e poi ha urlato che costruirà il Muro “a prescindere” come già sta facendo (anche se in realtà si tratta quasi esclusivamente di opere di manutenzione delle recinzioni esistenti, ndr).

La consigliera politica della Casa Bianca, Kellyanne Conway, ha detto su Fox News che le richieste dei democratici sono il motivo che “ci spingerà verso un nuovo shutdown” e ha ricordato che il presidente non sta partecipando ai negoziati tra i due partiti politici, ma è in attesa che una proposta di legge arrivi sulla sua scrivania per decidere se votarla o meno.

Trump ha sempre pronta un’opzione di uscita, che secondo i media americani ha già i contorni di un piano: la Casa Bianca potrebbe dichiarare lo stato di emergenza con cui attingere a fondi extra per il Muro e decidere su tutto il dossier a suo piacimento (è tuttavia considerata un’idea rischiosa, che può aprire a controversie legali).

(Foto: Facebook, la folla al raduno Maga di El Paso)

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