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Nel dicembre 2011, dopo i drammatici eventi climatici in Sicilia e Liguria dell’autunno, avevo avviato un’indagine accurata sulla vulnerabilità del nostro territorio. Nel marzo del 2012, a Vernazza, alla presenza del Presidente della Repubblica avevo presentato i primi risultati del nostro lavoro e indicato le linee guida per un piano pluriennale per mettere in sicurezza il nostro paese dagli eventi climatici estremi.

Avevo sottoposto la proposta di piano alla Commissione europea, mettendo in evidenza che “per gli interventi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio nazionale, sono necessari investimenti per almeno 40 miliardi di euro. Le misure per la prevenzione dei rischi e dei danni connessi agli eventi climatici estremi rappresentano una misura infrastrutturale per la crescita sostenibile dell’Italia, ad alto valore aggiunto e con effetti significativi per l’occupazione in particolare quella giovanile aggiuntiva. Queste misure sono coerenti con gli obiettivi europei del ‘Patto per la crescita e l’occupazione’, e in questa prospettiva dovrebbero essere in deroga rispetto al patto di stabilità”.

La risposta della Commissione era stata positiva in linea di principio, ma era stata richiesta l’adozione formale da parte dell’Italia di un piano di interventi e di misure finanziarie a medio e lungo termine, con l’indicazione del “ritorno” in termini di crescita e dei benefici attesi a medio termine sulle entrate e sulla riduzione del debito pubblico .

Di conseguenza, il 12 dicembre 2012 avevo presentato al Cipe una proposta preliminare per l’adozione della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio, con alcune misure “guida”:
– La programmazione e gestione coordinata delle politiche e misure di prevenzione, con una regia nazionale condivise con le Regioni;
– l’assunzione obbligatoria dei dati e delle previsioni sul cambio climatico nella programmazione territoriale e delle infrastrutture strategiche per il Paese;
– il divieto di uso dei territori vulnerabili e la rilocazione delle strutture edilizie, produttive, stradali e ferroviarie ubicate in questi territori;
– la realizzazione delle attività e delle opere per la messa in sicurezza del territorio, con il supporto di finanziamenti misti pubblico-privati per: la manutenzione delle aree a rischio, a partire dalle zone boschive e dai corsi d’acqua delle aree marginali, con attività permanenti anche attraverso la promozione di cooperative di giovani; la protezione delle coste e delle infrastrutture costiere; la ricalibratura di fiumi e canali, fognature e invasi per favorire il drenaggio delle piogge intense e gestire l’impatto delle “bombe d’acqua”; la realizzazione delle “difese” da frane e alluvioni sulla base di priorità stabilite a livello nazionale a seguito di una valutazione delle “serie storiche” degli eventi e della previsione dei maggiori impatti (ad esempio, aree urbane come Genova o Catania).

Il finanziamento stabile delle misure, stimato in circa 2,5 miliardi per 15 anni, avrebbe dovuto essere garantito da risorse pubbliche attraverso l’uso di almeno il 40% dei proventi derivanti dalle aste dei permessi di emissione come previsto dalla direttiva europea 2009/29/Ce, da investimenti privati incentivati con credito di imposta, e dall’introduzione di un’assicurazione obbligatoria per la copertura dei rischi connessi agli eventi climatici estremi a carico di beni e strutture di proprietà pubblica e privata.

Ma, nonostante il parere favorevole del Cipe, la mia proposta non ha avuto seguito.

Mentre le iniziative di #ItaliaSicura, avviate dal governo Renzi, sono state guidate prevalentemente dalla logica dell’emergenza, che assorbe risorse ingenti senza risolvere in modo stabile i nodi critici della vulnerabilità del territorio.

Purtroppo, nel pieno della discussione sulla legge di bilancio, gli eventi climatici estremi di queste settimane ci ricordano – come ormai da anni – che è necessario assumere nelle politiche di bilancio la consapevolezza che il dissesto idrogeologico è una barriera “strutturale” per lo sviluppo del nostro Paese, che richiede investimenti di medio e lungo termine per la realizzazione di misure stabili di adattamento del territorio alla nuova situazione climatica dell’Italia.

La dimensione e la tipologia di queste misure rappresentano un volano straordinario per la crescita della nostra economia: e questa è una ragione forte per negoziare con la Commissione europea il finanziamento “a debito” degli investimenti necessari e un piano di rientro a medio-lungo termine sostenuto dagli effetti positivi delle misure per l’adattamento dell’Italia al cambiamento climatico.

Forse il governo potrebbe considerare questo suggerimento nel “pacchetto” in discussione con la Commissione Europea sul documento di programmazione economico-finanziaria e la legge di bilancio.

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