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Il generale quattro stelle statunitense Scott Miller, capo di “Resolute Support” (la missione Nato in Afghanistan), era presente nel luogo dell’attacco che a Kandahar ha ucciso l’ufficiale a capo della polizia, Abdul Raziq, figura chiave nel tenere insieme le varie anime locali del sud del paese.

Uno dei portavoce della Resolute Support ha dichiarato che l’attacco è stato una faccenda “Afghan-on-Afghan“, ossia beghe interne, ma secondo la dichiarazione dei Talebani che si sono intestati l’azione, il generale americano era il bersaglio principale insieme “all’infame Razik” (già preso di mira altre volte, per via della sua influenza nella regione meridionale).  Miller ha preso l’incarico da poco tempo: di lui si ricorda che durante l’audizione di conferma al Senato, non aveva definito i talebani come nemici degli Stati Uniti, facendo intendere che fossero più che altro contro il governo afghano (dichiarazione quasi necessari per alleggerire la pressione di opinione pubblica e media su una guerra che dura da 17 anni, la più lunga della storia americana).

Zabihulla Mujahid, il portavoce dei talebani afghani, ha detto che l’attentato è stato eseguito da un “infiltrato”: il miliziano si era intrufolato all’interno del palazzo del governo di Kandahar indossando una divisa militare afghana, e giunto nella sala del meeting di alto livello ha aperto il fuoco. Un soldato e un civile statunitensi sono rimasti feriti, con loro un contractor di una società privata ingaggiato dalla Nato per la sicurezza dell’ufficiale, il capo dell’intelligence di Razik e il governatore provinciale; nessuno in modo grave.

La vicenda è piuttosto importante, perché coinvolge (uccidendolo) un alto ufficiale afghano considerato portatore di un ruolo da collante con cui era riuscito a mediare tra i gruppi politici del sud dell’Afghanistan – Razik, detto in via ufficiosa, è considerato come una sorta di signore della guerra, ma dalla sua posizione è riuscito a tenere insieme realtà eterogenee e a ottenere vittorie contro i Taliban: a questo punto il problema sarà anche la sua successione, che potrebbe innescare ulteriori situazioni di disequilibrio già viste in passato.

Soprattutto, l’attentato, ha intaccato la bolla di sicurezza attorno al più alto comandante della missione di stabilizzazione della Nato, durante un meeting di routine. Significato: la situazione nel paese è ancora molto critica (messaggio alle volontà di uscita e di ritiro). Miller, a quanto dichiarato, aveva già lasciato l’edificio (e potrebbe essere un’affermazione necessaria per evitare polemiche), ma è evidente che l’attentatore infiltrato era già nel palazzo quando il generale stava parlando con i colleghi afghani – nel 2014, Harold Greene, il generale statunitense che si occupava di coordinare il training delle forze armate afghane, fu ucciso in un attacco simile.

La città colpita, inoltre, è molto importante: Kandahar è il secondo centro più popolato del paese, capitale della fascia meridionale, feudo dell’etnia pashtun, centro spirituale per gli afghani, e confina con la provincia di Helmand (zona dove i Talebani non sono mai stati sopraffatti del tutto); è sede di un’aeroporto internazionale (il secondo dopo Kabul), e ospita progetti di crescita finanziati dall’esterno.

L’attacco è considerato già uno dei più “sfacciati” (cit. Long War Journal) da quando gli Stati Uniti e la Nato hanno avviato la missione afghana. Il capo del Pentagono, Jim Mattis (che come generale dei Marines guidò nel sud dell’Afghanistan la “Task Force 58”), parlando da Singapore – dove si trova per la ministeriale dell’Asean – ha detto che quel che è avvenuto non modificherà la situazione nel sud: “Ho visto i funzionari intorno a lui. Ho visto la maturazione delle forze di sicurezza afgane”, ha dichiarato il segretario alla Difesa, “per l’Afghanistan è la tragica perdita di un patriota. Ma non penso che avrà un effetto a lungo termine sulla nostra area”. È comunque presto, ha aggiunto poi, per capire se l’assalto influenzerà l’affluenza alle elezioni parlamentari del 20 ottobre.

Con l’attacco contro Razik e Miller, i talebani sperano di destabilizzare Kandahar come hanno fatto con Uruzgan, altra provincia del sud, dopo gli assassinii di Jan Mohammad Khan, l’ex governatore (nel 2011) e del nipote, Matiullah Khan, capo della polizia (nel 2015). Come Raziq, i Khan avevano accumulato potere personale che gli permetteva di esercitare controllo sul territorio in collaborazione con governo centrale e missione Nato: il doppio colpo ai Khan ha trasformato Uruzgan in una delle province più pericolose del paese, facendo crescere il ruolo dei Taliban.

(Foto: Twitter, @USFOR_A)

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