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“Nessuna decisione è stata ancora presa”. È il riferimento del vicepremier Luigi Di Maio al programma Joint Strike Fighter, arrivato nel corso della diretta Facebook per la presentazione della nuova campagna del Movimento Se lo diciamo, lo facciamo. Incalzato sul dossier F-35, il numero uno del Mise ha ribadito l’attesa per la “valutazione tecnica” promossa dal ministero della Difesa, guidato da Elisabetta Trenta, i cui risultati sono attesi per i primi mesi di quest’anno.

LE PAROLE DI DI MAIO

“Sugli F-35 non c’è nulla di deciso – ha detto Di Maio – noi del M5S crediamo che sia una spesa inutile”. Poi, il riferimento alle recenti indiscrezioni di stampa, secondo cui il piano del governo prevederebbe la conferma degli acquisti con una parziale rimodulazione. “I retroscena di stampa magari hanno fonti, ma vi assicuro che nessuna decisione è stata presa”. E così, mentre l’Olanda ha accolto il roll out del suo primo F-35 operativo come un evento nazionale (qui tutti i dettagli), in Italia si assiste alla nuova sortita del numero uno del Mise sul Joint Strike Fighter. L’impressione è che, ancora una volta, si tratti di posizioni ideologiche e pre-concettuali. Come giustificare altrimenti il giudizio di “spesa inutile” espresso prima che sia conclusa la “valutazione tecnica”?

IL PROGRAMMA ITALIANO

Ad ogni modo, l’impegno italiano prevede attualmente acquisti per 90 velivoli, già ridotti rispetto alle iniziali previsioni per 131. Cuore della partecipazione nazionale è la Final assembly and check-out (Faco) di Cameri, in provincia di Novara. Situato all’interno della base dell’Aeronautica militare e gestito da Leonardo con il supporto tecnologico di Lockheed Martin, il sito si occupa dell’assemblaggio dei velivoli destinati al nostro Paese e all’Olanda (a parte i primi 8, su un totale di 37). Tale attività coinvolge su tutto il territorio nazionale “oltre 70 imprese” (parole dell’ambasciatore Usa in Italia Lewis Eisenberg) e coinvolgerà, a pieno regime, sei mila persone tra occupati diretti, indiretti e indotti.

I RITORNI ECONOMICI

Già adesso, spiegava il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo visitando lo stabilimento a ottobre, “gli oltre mille dipendenti, personale altamente specializzato, rappresentano un importante indotto economico per la realtà locale”. Tra l’altro, a Cameri si realizzano anche gli assetti alari degli aerei di quinta generazione, con una previsione iniziale di oltre 800 pezzi. All’incremento del ruolo della Faco italiana sta lavorando lo stesso Tofalo. La scorsa settimana, in missione negli Stati Uniti, il sottosegretario ha chiesto all’omologa del Pentagono Ellen Lord “supporto politico” per riuscire a portare più lavoro a Cameri, pur riportandole le “molte perplessità” del governo italiano sul programma.

LE ESIGENZE DELLE FORZE ARMATE

Il ritorno economico è però solo uno dei tre elementi da tenere in considerazione. Il primo riguarda le esigenze operative delle Forze armate, il bisogno da cui partire per valutare ogni programma militare. Su questo, i vertici di Aeronautica e Marina sono da sempre molto chiari: gli F-35 servono all’Italia. Nella recente intervista a Rivista Aeronautica, il capo di Stato maggiore dell’Arma azzurra Alberto Rosso ha espresso preoccupazione per “l’obsolescenza delle linee di volo Tornado e Amx”, connessa “alle luci e ombre che, ormai da qualche anno, accompagnano l’acquisizione del velivolo F-35 che ne dovrebbe rappresentare il naturale successore”. A settembre, il numero uno della Marina Valter Girardelli ricordava come il programma fosse “imprescindibile e di fondamentale importanza, per poter esprimere in pieno le capacità strategiche e operative della portaerei nave Cavour”, ha spiegato l’ammiraglio. “Il velivolo – aggiungeva – è attualmente l’unico con capacità di decollo corto e appontaggio verticale nel mondo”.

IL PARERE DEGLI ESPERTI

Ai ritorni industriali e alle esigenze delle Forze armate si aggiunge poi il capitolo della credibilità internazionale. Non è un segreto che gli Stati Uniti di Donald Trump tengano particolarmente al programma F-35, un dato da tener presente se si vuole rinsaldare il rapporto con l’alleato d’oltreoceano, anche a fronte dell’emergente asse franco-tedesco con le connesse ambizioni sul fronte delle difesa. In altre parole, partecipare al Joint Strike Fighter riguarda una molteplicità di rapporti politici e diplomatici da cui non si può prescindere in ogni valutazione. In tal senso, ci ha spiegato Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad, “decidere di tagliare ulteriormente manderebbe un messaggio negativo, e significherebbe non vedere più un centesimo di lavoro dagli Usa”. Inoltre, ha rimarcato il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali, “viviamo in questa fase storica e dobbiamo prenderne atto, ma è ovvio che bisogna anche ammettere l’ipotesi per cui altri Paesi, a un certo punto, non si fideranno più di noi”. Per la stessa ragione, infine, su queste stesse colonne, Vincenzo Scotti, presidente della Link Campus University e più volte ministro democristiano, invitava l’esecutivo giallo-verde ad affrontare il tema delle spese per la difesa “senza pregiudiziali ideologiche”, ricordando anche che “se vogliamo contare nel contesto internazionale, dobbiamo anche assumerci responsabilità che vanno oltre i limiti della difesa interna e che attengono alla sicurezza globale”.

autonomia

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