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Fayez al Serraj non ci sta. Il primo ministro del governo libico di accordo nazionale ha riferito in un’intervista al quotidiano tedesco Bild la posizione “assolutamente contraria” della Libia all’idea dell’Unione Europea di realizzare nel Paese strutture in cui accogliere i migranti illegali, aggiungendo inoltre che non saranno disponibili neanche ad “accordi con l’Ue per prendere i migranti in cambio di soldi”. Il premier ha poi sollecitato la comunità internazionale a prendere una posizione da lui definita “decisiva e ferma” nei confronti di tutti coloro che sono accusati di ostacolare la riconciliazione politica nel Paese, ricalcando in un certo senso le parole pronunciate dall’inviato Onu Ghassan Salamè lo scorso 16 luglio.

UNA DIFFICILE RICONCILIAZIONE

Un richiamo, quest’ultimo rilasciato da Serraj, avvenuto dopo che lo scorso mercoledì 18 luglio un membro del Consiglio presidenziale libico, Fathi al Mijibri, aveva annunciato le sue dimissioni dalla rappresentanza in Cirenaica, pesando in una regione che già vive una situazione complicata. Non si deve dimenticare, infatti, che a Tripoli continuano a susseguirsi le notizie di scontri tra milizie e proteste per i continui blackout elettrici, e anche sulla costa occidentale libica i problemi relativi ai blocchi negli impianti petroliferi continuano a tenere alta la tensione interna del Paese.

Il Consiglio presidenziale, è necessario specificare, è l’organo esecutivo libico che ha nominato di fatto il governo di Serraj, ed è nato attraverso gli accordi di Shkirat facilitati dall’Onu nel 2015. È composto, oggi, da sei membri e alla base della decisione Mijibri, che prima delle dimissioni parrebbe essere stato (secondo quanto riportato dal quotidiano Asharg al Awsat) uno dei collaboratori più stretti del primo ministro, sarebbe stato un fallito tentato omicidio ai suoi danni avvenuto a fine giugno. Insomma sarebbe stata la paura per questo episodio a spingerlo a lasciare l’esecutivo.

Il politico, che ha invitato i membri della Cirenaica presenti nel governo a ritirarsi entro 72 ore, ha precisato di “aver subito a Tripoli un attacco armato da parte di una forza composta da 50 persone al termine di una riunione con i responsabili del ministero del Tesoro e della Banca Centrale finalizzata alle esecuzione del programma di riforme economiche”. Il dimissionario ha poi continuato spiegando che “le milizie controllano Tripoli sul piano militare e della sicurezza, ma hanno tolto ogni speranza di protezione al governo di accordo nazionale”.

Ed è sempre secondo il Consiglio che fa presente come le difficoltà del Paese nascano proprio da una mancanza di consenso politico. “Ogni volta che facciamo un passo verso la riconciliazione, qualcuno ci fa fare diversi passi indietro”, sono le dichiarazioni che giungono dall’esecutivo.

NIENTE CAMPI UE IN LIBIA

Resta spinosa anche la questione migranti. “Non puoi combattere la tratta portando in Libia soldati internazionali. Non lo accetteremo mai, comunque. Ciò che è richiesto sono sforzi internazionali poiché la rete della tratta è internazionale”, ha chiarito il capo del governo di accordo nazionale.

Nell’intervista al quotidiano tedesco al Serraj ha poi respinto nuovamente con fermezza le accuse rivolte alla guardia costiera dell’Ong Open Arms, secondo cui la guardia costiera libica avrebbe abbandonato in mare due donne e un bambino. Il premier si è inoltre detto stupito del fatto che in Europa nessuno sia più disposto ad accogliere ma anzi “chiedano a noi” di prenderne centinaia di migliaia. “Salviamo tutti i giorni centinaia di persone al largo delle nostre coste”, ma “abbiamo bisogno di supporto logistico e finanziario per essere ancora più veloci ed efficaci”, ha aggiunto.

“È anche importante che i politici europei acquisiscano una migliore comprensione della situazione in Libia – ha concluso Serraj – . Ho già invitato ufficialmente la cancelliera Angela Merkel e spero che lei venga presto in Libia. Sono felice ogni volta che un politico europeo viene qui per dare un’occhiata in prima persona alla realtà sul terreno”.

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