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Sul mondo dell’energia, siamo concorrenti, ha detto il Presidente americano Donald Trump a Vladimir Putin durante la conferenza stampa dopo l’incontro di Helsinki. Esiste realmente questa concorrenza o il Lng americano ancora non può competere col gas russo?

Ne parliamo con Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia (società di ricerca sull’energia e l’ambiente) e professore all’Universitá di Bologna e al Politecnico a Milano: “In realtà è una questione dei prossimi anni. Il gas americano ha prezzi attualmente che sono meno della metà rispetto ai prezzi del gas russo in Europa, 8 euro per megawattora contro i 22 delle importazioni dalla Russia. Ma se uno ci mette i costi di liquefazione negli Usa il trasporto in Europa e la rigassificazione sulle nostre coste, allora il prezzo supera facilmente i 22 euro per megawattora”. E “se guardiamo a monte i russi hanno costi di produzione molto più bassi di quelli americani, 1-2 € per megawattora contro i 5-7 americani. Quello russo è gas convenzionale da grandissimi depositi, quello americano è shale da formazioni difficili per cui occorre il fracking per estrarlo”.

Che ruolo hanno allora gli Stati Uniti nel mercato? “Per il gas, per cui non c’è molto mercato internazionale, ancora marginale, ma in crescita. La gran parte del gas si trasporta ancora via tubo. La Russia è il primo esportatore mondiale di gas e l’anno scorso ha raggiunto un nuovo record di esportazioni all’Europa con 190 miliardi metri cubi, quasi il 40 per cento dei consumi europei. Questo accade paradossalmente sotto sanzioni dal 2014 per la Crimea. Questo lo sa anche Putin, mentre la Germania vuole raddoppiare il gasdotto North Stream da 50 a 100 miliardi di metri cubi anno di capacità”.

A questo punto, quindi, quali sono le linee strategiche su cui Washington entra in sovrapposizione con Mosca? “È la dipendenza dal gas russo che preoccupa gli Usa, da sempre. E anche ora con Trump che non è superficiale come a volte sembra. Poi c’è il problema delle esportazioni di greggio, del petrolio fatto con la fratturazione negli Usa, tecniche simili a quelle usate per il gas. Gli Usa sono diventati il primo produttore mondiale, ma rimangono di gran lunga il primo consumatore. La Russia è il secondo esportatore mondiale dopo l’Arabia Saudita e tutti sono accomunati dal voler garantire in futuro una domanda stabile di petrolio con prezzi convenienti per i consumatori finali”.

Putin ha anche suggerito che i due Paesi potrebbero impegnarsi per gestire il prezzo del petrolio ed evitare le sue schizofrenie. Nelle ultime settimane, Mosca ha lavorato con Riad per chiudere un accordo — su cui Trump aveva pressato la sponda Opec — per aumentare le produzioni e calmierare il recente aumento dei prezzi. “Pensiamo che noi come una grande potenza di petrolio e gas, e gli Stati Uniti come una grande potenza di petrolio e gas, potremmo lavorare insieme sulla regolamentazione dei mercati internazionali, perché nessuno di noi è realmente interessato al crollo dei prezzi “. In che termini potrebbe esserci questa collaborazione? “Quello che è certo è che esiste molta confusione — commenta Tabarelli — e ieri i prezzi del petrolio  sono crollati di 3 dollari a un minimo da 3 mesi di 73 dollari per timori che Russia e Usa stiano collaborando, assieme all’Arabia Saudita, per vendere più volumi e fare scendere i prezzi. Di fatto una forma di collaborazione esiste da fine 2016 fra Russia e Arabia Saudita con l’accordo storico del 10 dicembre 2016 che è tuttora valido. I sauditi e gli Usa sono così stretti alleati che inevitabilmente sono vicini anche alla Russia. Meno male che c’è questa alleanza altrimenti i prezzi sarebbero già oltre i 100 dollari per barile”.

A questo punto sarebbe interessante capire  cosa possono significare i vari scenari per l’Italia. Quali sono gli interessi per Roma? “L’Italia è una piccola Germania, ma con il vantaggio che se ha bisogno di gas, cosa che avverrà, non dipende totalmente dalla Russia, ha il Nord Africa e questo torna utile agli Stati Uniti che vogliono un’Europa un po’ meno legata alla Russia. Il che è ovvio al di là di Putin. Per questo servono strutture di interesse strategico come il Tap, uno degli incagli dell’attuale coalizione di governo”.

E per Eni? Ci saranno ricadute sui business avviati nel Mediterraneo? “Mah, l’Eni ha un’autostrada davanti per varie ragioni. Può dare una mano a stabilizzare l’Egitto, il Paese politicamente più importante del mondo Arabo, del Mena (Middle East and North Africa), del mondo musulmano. Sta trovando molto gas e anche petrolio di recente in Egitto. Il legame fra Egitto e Italia è il più solido per ragioni millenarie che il Paese arabo abbia con gli europei. Il progetto di fare un gasdotto verso l’Europa, magari la Grecia, che parta da sotto Cipro verso l’Europa, da 7 miliardi di dollari, non è un sogno. Ci si potrebbe allacciare Israele con i suoi giacimenti per rafforzare la collaborazione con l’Egitto e il mondo arabo moderato: questo sì, un sogno”.

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