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Il tema delle migrazioni verrà solo sfiorato al Consiglio Europeo del 28-29 giugno. L’intenzione è di trattarlo in incontri bilaterali o tra gruppi ristretti di Stati dell’Unione europea (Ue). Ma resterà con noi per decenni. Ci siamo accorti tardi delle dimensioni e della gravità del problema. Soltanto la crescita demografica in Africa, la cui popolazione era circa di 500 milioni persone nel 1980 e sarà di due miliardi e 200 mila nel 2050 (specialmente grazie alla riduzione della mortalità infantile ed all’aumento della aspettativa media di vita alla nascita), la spinta alle migrazioni “economiche” (ossia quelle non determinate da guerre, carestie, dittature) sarà fortissima perché tra trenta-cinquanta anni il Pil procapite europeo sarà mediamente ancora pari a 15-12 volte quello africano. Ho lavorato sull’Africa per circa un quarto di secolo (tra Banca Mondiale e FAO); conosco bene il continente, ho numerosi amici africani tanto il vice di Kenyatta nell’insurrezione Mau Mau, e successivamente dirigente apicale della Repubblica keyniota, Peter I. Gachathi mi definì l’unico Kikuyu bianco sulla faccia della terra. I Kikuyu hanno la fama (giusta o sbagliata) di essere l’etnia più determinata e più combattiva dell’area.

Abbiamo tenuto gli occhi chiusi troppo a lungo, specialmente in Italia. Nel 1980, al termine di un anno “sabbatico” concedutomi dalla Banca mondiale (per cui ho lavorato per 18 anni), proposi un manoscritto, in cui trattavo una piccola parte del problema, ad un noto editore di Bologna, con cui avevo pubblicato in passato; mi venne risposto che si trattava di argomento di poco interesse. Il saggio venne, poi, pubblicato in inglese da un editore di Amburgo.

Siamo pronti a questa valanga in arrivo? Non credo. E non è solo questione di porti, di attracchi, di centri di accoglienza, di luoghi dove identificare i rifugiati dagli altri, di ripartizione dell’onere tra vari Stati dell’Ue. Il problema è più profondo: riguarda gli obiettivi di politica pubblica. Generalmente, come scopo ultimo si propone l’integrazione. Da “africanista di lungo corso”, con una buona conoscenza del Medio ed Estremo Oriente, ho sempre sostenuto che tale obiettivo sia non fattibile ed anche contrario a quello degli immigrati, giustamente gelosi della loro identità, della loro cultura, delle loro tradizioni, dei loro usi e costumi. Lo prova l’esperienza di vari Paesi, in particolare della Francia dove si è perseguita per decenni una politica di “assimilazione” ed ora sono le terze generazioni le più oltranziste nei confronti di chi per “accoglierli” ed “integrarli” li ha “sradicati”. Nonostante, da noi, tante “anime belle” predichino l’esatto contrario.

In questi giorni esce un libro che documenta quello che è sempre stato il mio punto di vista: Marco Zacchera, “Integrazione (Im)Possibile? Quello che non ci dicono su Africa, Islam ed immigrazione”, (260 pp, I Libri del Borghese, € 18).

Zacchera è stato deputato per cinque legislature e sindaco della sua città (Verbania sul Lago Maggiore). Laureato sia in economia (Bocconi) sia in storia della civiltà (università del Piemonte Orientale) è sempre stato fortemente impegnato nelle associazioni di volontariato per la cooperazione internazionale, nel 1981 ha fondato i Verbania Centers (scuole, ospedali. dispensari, pozzi, assistenza agli agricoltori), attivi in diversi paesi dell’Africa e dell’America del Sud. Conosce approfonditamente il mondo da cui provengono i migranti, ha una forte empatia per le loro popolazioni e numerosi amici africani, americo-latini ed asiatici di tutti gli strati sociali. Il libro è suddiviso in 14 capitoli, 11 riquadri “giramondo” (testimonianze, aneddoti,curiosità) e un’appendice (un sondaggio commissionato appositamente su “come la pensano gli italiani”). Il volume scava in profondità e con grande chiarezza le tematiche centrali dell’immigrazione: dalle statistiche e previsioni essenziali, alle determinanti della decisione di emigrare, alle caratteristiche di alcuni dei principali gruppi di migranti, ai razzismi vecchi e nuovi, alle difficoltà di dialogo con l’Islam, alle possibili risposte cristiane (particolarmente interessante l’immigrazione vista attraverso cinque Papi, da Paolo VI a Francesco), ed all’inevitabile raffronto con l’emigrazione dall’Italia (verso le Americhe e l’Australia) ancora attiva non molti decenni fa (nel 1957, anno della firma del Trattato di Roma ben 400.000 nostri concittadini lasciarono l’Italia alla ricerca di un futuro migliore).

La doppia laurea (in economia ed in storia della civiltà) e l’attività “pubblica”, portano Zacchera ad indagare, sin dall’introduzione, un argomento poco trattato dalla pubblicistica ed a farne il leit motif (tema conduttore ) del volume: se l’integrazione è realmente possibile. La risposta è un netto e deciso “no” perché ciascuno di noi è legato alla propria identità, alla propria cultura, alle proprie tradizioni. Si pone, quindi, un dilemma di fondo di politica pubblica: cosa fare nei confronti di chi non vuole accettare una società fondata sul rispetto delle reciproche libertà individuali sentendosi superiore agli altri.

Un libro da leggere e da meditare.

L'integrazione è realmente possibile? Un’analisi per aprire il dibattito

Il tema delle migrazioni verrà solo sfiorato al Consiglio Europeo del 28-29 giugno. L’intenzione è di trattarlo in incontri bilaterali o tra gruppi ristretti di Stati dell’Unione europea (Ue). Ma resterà con noi per decenni. Ci siamo accorti tardi delle dimensioni e della gravità del problema. Soltanto la crescita demografica in Africa, la cui popolazione era circa di 500 milioni…

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